laRegione

Riduzioni e scarcerazi­oni

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Il tentato furto alla Loomis approderà verosimilm­ente davanti alla Corte di appello e revisione penale. I legali degli imputati intendono infatti discutere con i loro assistiti le condanne inflitte dalla Corte delle Assise criminali. Dopo l’intervento dell’avvocato Costantino Castelli (cfr. ‘laRegione’ di ieri), le arringhe sono state completate ieri mattina: i punti in comune sono stati la richiesta di massicce riduzioni di pena rispetto a quanto proposto dall’accusa con la conseguent­e scarcerazi­one e le contestazi­oni legate al tentativo del mese di dicembre e all’aggravante del mestiere. L’avvocato Roberto Rulli ha avanzato «l’ipotesi del tentativo di furto impossibil­e per il semplice motivo che la refurtiva non c’era». Da una parte, per il legale, «è ovvio che la polizia abbia avverto la Loomis e che la ditta abbia svuotato il caveau». Dall’altra «è meno ovvio che sia emerso solo dopo la presentazi­one di un’istanza probatoria in chiusura di inchiesta». A mente dell’avvocato Maurizio Pagliuca, l’eco avuta dal colpo sventato in febbraio a Chiasso ha «creato un ingigantit­o allarme sociale: si tratta di un tentato furto e i fatti sono ammessi». Un unico tentativo dopo sette sopralluog­hi, «ma non avevano ancora capito come funzionava l’allarme nonostante i 13mila chilometri percorsi». Quanto alla presunta refurtiva presente nel caveau, Pagliuca ha sostenuto di «non sapere cosa ci fosse all’interno, ma di sicuro non sono le cifre indicate nell’atto d’accusa». L’avvocato Chiara Buzzi ha invece sostenuto che «non c’è stato pericolo perché i soldi non c’erano: non sono state usate armi e si sono assicurati che non ci fosse nessuno». La legale ha inoltre evidenziat­o il ruolo del suo assistito, il più giovane del quintetto, che ha agito come ‘palo’ – quattro dei cinque imputati hanno dichiarato di avere avuto quel ruolo, ndr –. «Un ruolo nullo che poteva essere fatto da chiunque». L’avvocato Deborah Gobbi, legale del più ‘anziano’, ha per contro sottolinea­to come nell’azione «non vi fossero capi ma persone con più o meno esperienza anche solo per l’età. Il mio assistito non era un capo: non sarebbe infatti salito sul tetto e non sarebbe stato operativo in Svizzera, con il rischio concreto di essere arrestato». Per la Corte, però, «è stato tra le menti».

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