Un fallimento epocale che non ha insegnato molto
Mancavano poche ore all’apertura di Wall Street, quando il 15 settembre del 2008 la quarta maggiore banca d’investimento degli Stati Uniti, con 25mila dipendenti in tutto il mondo, chiedeva l’ammissione al Chapter 11 dichiarando di fatto la bancarotta. Pochi mesi prima era toccato a un’altra gloriosa istituzione di Wall Street, la Bear Stearns (rilevata da JP Morgan Chase) sparire dalla scena a causa dell’elevata esposizione nella bolla dei crediti subprime che aveva cominciato a manifestarsi in realtà nell’agosto del 2007. Il crollo della Lehman Brothers ha segnato l’inizio di una lunga era di crisi globali dalle quali, dopo 10 anni, l’Unione europea sta iniziando solo negli ultimi tempi a riprendersi. I programmi di bailout di Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro (tutti conclusi) sono figli di quella stagione di finanza scellerata. Quando fu costretta a portare i libri in tribunale – ricordiamo che le attività europee furono rilevate dalla giapponese Nomura – Lehman Brothers gestiva capitali per 639 miliardi dollari, ma debiti obbligazionari per 155 miliardi e debiti bancari per 613 miliardi. La banca era quella che più si era esposta nei confronti di mutui subprime: solo nel 2007, anno dello scoppio della crisi negli Usa, sottoscrisse cartolarizzazioni su questi crediti facili per 85 miliardi di dollari. Il numero uno di Lehmann Brothers, Dick Fuld, soprannominato ‘il gorilla di Wall Street’ e all’origine di quelle strategie d’investimento, continua a operare nel settore finanziario con un propria società di asset management, la Matrix Capital Group. Per dare un’idea del disastro Lehman, basta pensare quale fosse la sua capitalizzazione all’inizio del 2007: 60 miliardi dollari. In quel settembre nero aveva perso oltre 45 miliardi. A distanza di dieci anni i commissari responsabili della liquidazione sono ancora al lavoro. Gli ex obbligazionisti garantiti hanno potuto recuperare circa il 71% del valore nominale dei titoli detenuti. Una cifra elevatissima per una procedura fallimentare e che fa pensare – a posteriori – che la banca probabilmente potesse essere salvata.