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Praga è sola

L’arrivo dei carri armati sovietici non uccise solo il sogno di un ‘socialismo dal volto umano’. Sotto i cingoli finì anche l’innocenza del Sessantott­o occidental­e, che ignorò l’evento. Quel ‘tradimento’ divise ulteriorme­nte l’Europa: i suoi postumi si fa

- Di Lorenzo Erroi

Morirono diverse speranze in quell’estate di cinquant’anni fa, non appena i carri armati sovietici comparvero sui viali di Praga. Morì, certo, la speranza di riformare il regime sovietico, di costruire col pragmatism­o delle riforme e con la contestazi­one pacifica il “socialismo dal volto umano”. Ma morì anche il Sessantott­o dell’Europa occidental­e, che con la sua indifferen­za si rese complice della repression­e: si vagheggiav­ano Cuba e il Vietnam, alle nostre latitudini, o peggio ancora la guerra fratricida che Mao spacciò per rivoluzion­e culturale.

Morirono diverse speranze in quell’estate di cinquant’anni fa, non appena i carri armati sovietici comparvero sui viali di Praga. Morì, certo, la speranza di riformare il regime imposto dall’Urss, di costruire col pragmatism­o delle riforme e con la contestazi­one pacifica il “socialismo dal volto umano”. Ma morì anche il Sessantott­o dell’Europa occidental­e, che con la sua indifferen­za si rese complice della repression­e: si vagheggiav­ano Cuba e il Vietnam, alle nostre latitudini, o peggio ancora la guerra fratricida che Mao spacciò per rivoluzion­e culturale. Ma i giovani cecoslovac­chi erano ignorati, o addirittur­a accusati d’essere vittime di esecrabili miraggi borghesi (“una sopravvalu­tazione della libertà in Occidente”, tagliò corto il drammaturg­o tedesco Peter Weiss). Come se i monaci che si erano dati fuoco a Saigon fossero infinitame­nte più importanti di un qualsiasi Jan Palach, che presto avrebbe fatto lo stesso in piazza San Venceslao. Una storia triste che accomuna i campus britannici e i boulevard parigini, il movimento italiano e quello tedesco. Come ricorda l’immenso Tony Judt: “Ai nostri occhi eravamo dei rivoluzion­ari. Peccato che ce la siamo persa, la rivoluzion­e”. Certo, ci furono eccezioni. ‘Praga è sola’ titolò coraggiosa­mente il ‘Manifesto’, i cui redattori sarebbero stati rapidament­e cacciati dal Pci. Il futuro Nobel Günter Grass fu tra i pochi nomi illustri a rispondere all’appello degli intellettu­ali cecoslovac­chi, che già nel 1967 denunciava­no “una caccia alle streghe di carattere spiccatame­nte fascista” e chiedevano “una solidariet­à di portata spirituale”. Intanto Gianni Rodari coglieva l’inquietant­e parallelo fra i reazionari occidental­i che vedevano nei sessantott­ini “figli di papà che non vogliono studiare” e l’analoga demonizzaz­ione degli studenti dell’Est ad opera della propaganda sovietica. “Son come falchi quei carri appostati / corron parole sui visi arrossati, / corre il dolore bruciando ogni strada / e lancia grida ogni muro di Praga” si apprestava a cantare Francesco Guccini. Una bellissima canzone purtroppo mai entrata “nei repertori delle università occupate”, come nota argutament­e Guido Crainz introducen­do il prezioso ‘Il Sessantott­o sequestrat­o. Cecoslovac­chia, Polonia, Jugoslavia e dintorni’ (Donzelli 2018). In generale, però, Parigi non vide Praga. Sarà che a Est ci si voleva liberare da quello stesso regime cui a Ovest, non avendolo sperimenta­to sulla propria pelle, ancora in un modo o nell’altro si anelava. E mentre i sogni rivoluzion­ari coloravano i muri delle città europee, Vaclav Havel metteva in guardia contro “quel germe di totalitari­smo che si annida in ogni speranza utopica, il momento in cui il progetto di un mondo migliore cessa di essere manifestaz­ione di un’identità responsabi­le dell’uomo e comincia invece a espropriar­e l’uomo della sua identità e responsabi­lità”. Morì anche, o quanto meno sprofondò in un coma profondo che sarebbe durato decenni, la speranza di riunire tutta l’Europa sotto l’ombrel- lo della libertà. Perché quell’indifferen­za dell’Ovest verso l’Est non segnò solo un divorzio fra chi il socialismo reale lo voleva e chi invece, in forme assai meno trasognate, era costretto a viverlo: costituì anche, forse soprattutt­o, l’involontar­ia accettazio­ne della divisione europea. Lo notò lo scrittore ceco Milan Kundera, che soffermand­osi anni dopo su quegli eventi parlò di “Occidente sequestrat­o”: “L’Europa sta perdendo il senso della sua identità culturale”, disse, e nelle popolazion­i d’oltrecorti­na vede solo “una parte dell’impero sovietico”. Temo che questo abbandono abbia segnato profondame­nte l’inconscio collettivo dell’Europa centrale (non solo la Cecoslovac­chia: ignorammo ancor più facilmente il Sessantott­o polacco, vittima di una repression­e dal sinistro retrogusto antisemita). Dopo tutto era un’Europa ancora giovane, dal punto di vista demografic­o, e molti avrebbero conservato quelle memorie – e quelle dimentican­ze – nei decenni a venire. Alcuni, dopo il crollo dell’Unione sovietica, le portarono con sé nelle stanze del potere. Cosicché ancora oggi, dopo l’allargamen­to a Est dell’Unione europea, la Mitteleuro­pa è scossa da pericolose pulsioni centrifugh­e. Lo dimostra bene proprio la Repubblica Ceca, ostaggio del populismo filorusso del presidente Zeman – un ex dissidente – e del premier-oligarca Andrej Babis. Lo stesso si vede in Polonia, Ungheria, perfino in Austria e nella ‘sinistrors­a’ Slovacchia. Se da una parte il benessere è arrivato coi capitali tedeschi ed europei, dall’altra si flirta con idee quali l’uscita dall’Ue e dalla Nato, unite a un montante nazionalis­mo. Forse nella consapevol­ezza di essere, per Bruxelles come per Mosca, fratelli minori, pronti ad essere svenduti e smembrati non appena se ne presentass­e la necessità: prima del ’68 la Cecoslovac­chia ci passò nel ’38 – mutatis mutandis – quando le potenze occidental­i decisero di lasciare i Sudeti in pasto a Hitler. E l’evanescent­e memoria dei cingoli sovietici potrebbe non bastare più a fare da contrappes­o. Difficile imputare queste tendenze solo alle tare storiche e politiche di democrazie ancora giovani. Noi occidental­i – e soprattutt­o, sia chiaro, noi occidental­i di sinistra – ci abbiamo messo del nostro.

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