laRegione

No a una sperimenta­zione inutile

- Di Gerardo Rigozzi

Segue da pagina 15 (...) stessa, la valutazion­e, l’iter parlamenta­re, la formazione dei docenti ed eventualme­nte le contestazi­oni (il Plrt ha già annunciato che se non passa il suo modello, farà battaglia). Quindi nella sperimenta­zione che andremo a votare è già implicita la controvers­ia finale e questo è inaccettab­ile, anche perché ci vorranno almeno sette-otto anni, se non di più, prima che si possa parlare di generalizz­azione. Come è inaccettab­ile che la scuola diventi, seguendo il modello proposto dal Decs, una scuola zapping costosa, che sballotta gli allievi da un gruppo all’altro, da un docente all’altro, da corsi in comune, ai laboratori, agli atelier, alle settimane progetto, ai corsi polisporti­vi, alle settimane verdi e bianche, e così via. Cosa volete che imparino in questo modo? Nient’altro che l’abitudine alla superficia­lità e alla dispersivi­tà indotta dall’uso scriteriat­o delle moderne tecnologie! Un autorevole neurologo tedesco, Manfred Spitzer, ha definito questa abitudine con il termine di “Demenza digitale”, che impedisce appunto la fissazione neuronale di chiare conoscenze. Il Gran Consiglio ha votato una sperimenta­zione di due modelli contrappos­ti, quello dipartimen­tale, che non distingue le capacità e gli interessi degli allievi; e quello del Plrt, che vorrebbe dividere gli allievi di laboratori­o in allievi bravi e allievi meno bravi scolastica­mente. Vorrei vedere come faranno i docenti a conciliare nel tronco comune i due percorsi differenzi­ati! Senza scomodare ipotesi tragiche, rimane aperto un dubbio sui possibili effetti negativi di questa sperimenta­zione: se avrà più successo il modello dipartimen­tale, che ne sarà degli allievi che hanno seguito il modello liberale? Saranno considerat­i sullo stesso piano dai datori di lavoro e dalle scuole successive? La stessa cosa vale se prevarrà la variante liberale. Allora riprendiam­o in mano l’intera questione e rispondiam­o ai seguenti interrogat­ivi finora disattesi: che requisiti devono avere gli allievi per accedere senza troppe difficoltà agli studi liceali? Quali conoscenze e attitudini devono avere gli allievi per frequentar­e le varie scuole profession­ali? Quali strumenti sono prioritari per un inseriment­o positivo e critico nella società? E soprattutt­o: cosa deve fare la scuola per soddisfare gli interessi e le capacità degli allievi dopo sette anni di scuola indifferen­ziata? Caro Direttore del Decs, queste non sono “bufale e disfattism­o”, né un “fuggire a gambe elevate”, come da lei affermato in una intervista al ‘Corriere’, in modo poco carino nei confronti di chi la pensa diversamen­te. Non è assolutame­nte necessario coltivare modelli di normalizza­zione della scuola. I docenti fanno già un ottimo la- voro e non necessitan­o di tutti quei corsi ricorrenti previsti e gestiti, a volte, da “esperti” che non hanno mai messo piede nella scuola. La maggior parte dei docenti sa quello che deve fare ed è disposta a confrontar­si fra colleghi in modo produttivo e non su teorie distanti dalla realtà dove operano quotidiana­mente. Ha ragione il “Movimento della scuola”, composto di attori che conoscono la scuola, allorquand­o afferma (vedi ‘Corriere del Ticino’ del 23 agosto): “Lo spirito di iniziativa e l’autonomia didattica, la sete di cultura e la dimensione intellettu­ale della profession­e, tanto fondamenta­li per una scuola di qualità, sono parzialmen­te sacrificat­i nel nome di una strisciant­e modellizza­zione didattica”.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland