No a una sperimentazione inutile
Segue da pagina 15 (...) stessa, la valutazione, l’iter parlamentare, la formazione dei docenti ed eventualmente le contestazioni (il Plrt ha già annunciato che se non passa il suo modello, farà battaglia). Quindi nella sperimentazione che andremo a votare è già implicita la controversia finale e questo è inaccettabile, anche perché ci vorranno almeno sette-otto anni, se non di più, prima che si possa parlare di generalizzazione. Come è inaccettabile che la scuola diventi, seguendo il modello proposto dal Decs, una scuola zapping costosa, che sballotta gli allievi da un gruppo all’altro, da un docente all’altro, da corsi in comune, ai laboratori, agli atelier, alle settimane progetto, ai corsi polisportivi, alle settimane verdi e bianche, e così via. Cosa volete che imparino in questo modo? Nient’altro che l’abitudine alla superficialità e alla dispersività indotta dall’uso scriteriato delle moderne tecnologie! Un autorevole neurologo tedesco, Manfred Spitzer, ha definito questa abitudine con il termine di “Demenza digitale”, che impedisce appunto la fissazione neuronale di chiare conoscenze. Il Gran Consiglio ha votato una sperimentazione di due modelli contrapposti, quello dipartimentale, che non distingue le capacità e gli interessi degli allievi; e quello del Plrt, che vorrebbe dividere gli allievi di laboratorio in allievi bravi e allievi meno bravi scolasticamente. Vorrei vedere come faranno i docenti a conciliare nel tronco comune i due percorsi differenziati! Senza scomodare ipotesi tragiche, rimane aperto un dubbio sui possibili effetti negativi di questa sperimentazione: se avrà più successo il modello dipartimentale, che ne sarà degli allievi che hanno seguito il modello liberale? Saranno considerati sullo stesso piano dai datori di lavoro e dalle scuole successive? La stessa cosa vale se prevarrà la variante liberale. Allora riprendiamo in mano l’intera questione e rispondiamo ai seguenti interrogativi finora disattesi: che requisiti devono avere gli allievi per accedere senza troppe difficoltà agli studi liceali? Quali conoscenze e attitudini devono avere gli allievi per frequentare le varie scuole professionali? Quali strumenti sono prioritari per un inserimento positivo e critico nella società? E soprattutto: cosa deve fare la scuola per soddisfare gli interessi e le capacità degli allievi dopo sette anni di scuola indifferenziata? Caro Direttore del Decs, queste non sono “bufale e disfattismo”, né un “fuggire a gambe elevate”, come da lei affermato in una intervista al ‘Corriere’, in modo poco carino nei confronti di chi la pensa diversamente. Non è assolutamente necessario coltivare modelli di normalizzazione della scuola. I docenti fanno già un ottimo la- voro e non necessitano di tutti quei corsi ricorrenti previsti e gestiti, a volte, da “esperti” che non hanno mai messo piede nella scuola. La maggior parte dei docenti sa quello che deve fare ed è disposta a confrontarsi fra colleghi in modo produttivo e non su teorie distanti dalla realtà dove operano quotidianamente. Ha ragione il “Movimento della scuola”, composto di attori che conoscono la scuola, allorquando afferma (vedi ‘Corriere del Ticino’ del 23 agosto): “Lo spirito di iniziativa e l’autonomia didattica, la sete di cultura e la dimensione intellettuale della professione, tanto fondamentali per una scuola di qualità, sono parzialmente sacrificati nel nome di una strisciante modellizzazione didattica”.