La scelta europea di Amazon
I record stanno cadendo uno dopo l’altro con una facilità solo apparentemente irrisoria. Amazon ha già fatto di Jeff Bezos, il suo fondatore, amministratore delegato e presidente, l’uomo più ricco del mondo con un patrimonio appena sotto i 160 miliardi di dollari, grazie alla sua quota approssimativamente del 17% nella società. Il titolo del gruppo di Seattle giovedì scorso ha superato per la prima volta quota duemila dollari, mentre la società sembra ormai inesorabilmente la seconda ad avviarsi, dopo Apple, a varcare il valore di mercato di mille miliardi di dollari. L’avanzata di Amazon è inarrestabile, almeno in questo momento, e per certi aspetti non è difficile capire perché: i prezzi di ciò che vende sono imbattibili, i tempi di consegna sempre più rapidi, gli accordi con i distributori postali sempre più improntati al massimo dell’efficienza. Non esiste motivo al mondo per il quale uno studente non debba comprare i propri libri su Amazon, una famiglia non debba rifornirsi di pannolini su Amazon, un’impresa non debba comprare su Amazon il proprio sistema informatico o il mobilio. Quello che fin qui non è stato chiaro, è esattamente quanto guadagna in Italia o almeno in Europa il gruppo di Jeff Bezos in cambio di tutta questa efficienza al servizio del consumatore. Per quanto riguarda l’Italia, o la Germania, la Francia, la Gran Bretagna o la Spagna, singolarmente prese, è impossibile saperlo. Amazon non pubblica i propri fatturati nei singoli Paesi europei, neppure nei più grandi. Amazon non pubblica neppure nella Relazione annuale i suoi fatturati in Europa, si limita a suddividere fra Nord America e resto del mondo. Un’occhiata al «credit report» su un’azienda con una piccola sede in una viuzza secondaria di Città del Lussemburgo, in base alle informazioni del Cerved, rivela però molti dettagli e dà un’idea di cosa esattamente stia accadendo ad Amazon in Europa. Il “credit report”, stilato dalla società italiana che si occupa di informazioni societarie, riguarda Amazon.eu: è una società situata dietro una modesta targa in ottone in un palazzo che avrà almeno un secolo in Rue Plaetis 5 in Lussemburgo. È questo il contenitore che raccoglie i fatturati delle vendite al dettaglio di Amazon nei cinque più grandi Paesi europei: Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna. Il Cerved tratteggia il quadro di un giro d’affari in rapida esplosione. Nei cinque Paesi in aggregato Amazon fatturava 18,6 miliardi di euro nel 2015 e appena meno di 25 miliardi l’anno scorso. È una progressione che viene da lontano: ancora nel 2006 Amazon.eu registrava vendite per meno di due miliardi l’anno ed era sotto gli otto miliardi all’inizio di questo decennio, secondo quanto ricostruito dalla Commissione Ue in un’indagine per aiuti di Stato chiusa con una decisione contro l’azienda meno di un anno fa. In fondo non è strano, per un gruppo così efficiente e competitivo. L’aspetto più stupefacente è l’andamento a forbice dei conti: più negli anni sono saliti i fatturati, crescendo di dodici volte in undici anni, più l’utile operativo si è deteriorato. Fino al punto che negli ultimi tre anni l’attività di vendita al dettaglio di Amazon ha sempre generato un risultato operativo negativo. Dal 2015 questa linea dei bilanci in Europa ha accumulato un miliardo e sessantatré milioni di perdite complessive. Negli anni scorsi sono state compensate da imprecisati «proventi finanziari» (probabilmente legate a effetti del tasso di cambio). L’anno scorso invece neanche queste voci hanno aiutato e l’ultima riga di Amazon.eu ha segnato una perdita di 876 milioni. In altri termini il più grande gruppo di vendite al dettaglio al mondo l’anno scorso ha segnato il suo record di vendite nel più grande mercato al mondo, l’Unione europea. Ma ha accettato di farlo perdendo 3,5 euro ogni cento euro di prodotti venduti ai propri clienti. Questo appare del tutto in contraddizione con il modo in cui il gruppo di Bezos lavorava in Europa negli anni scorsi, quando vendeva molto meno ma era molto più redditizio. Secondo stime della Commissione di Bruxelles
Segue da pagina 4 (…) pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Ue, Amazon.eu nel 2012 ha venduto la metà rispetto all’anno scorso ma ha guadagnato sul piano operativo 4,3 euro ogni cento euro di merce venduta e dunque oltre mezzo miliardo. L’utile operativo si è poi avvicinato a 700 milioni, sempre secondo le stime di Bruxelles, nel 2013. Resta da capire come sia possibile che Amazon in Europa e presumibilmente anche in Italia inizi ad andare così male proprio ora che vende così tanto, come mai prima. La società spiega che il motivo reale di questo andamento a forbice è negli investimenti, che hanno avuto un’accelerazione in questi ultimi anni. Spiega un rappresentante di Amazon: «Dal 2010 abbiamo investito 27 miliardi di euro in Europa, oltre 1,6 miliardi solo in Italia, abbiamo creato 65mila posti di lavoro, di cui 3’500 in Italia». Gli investimenti del 2017 sarebbero di circa sei miliardi e comprendono l’apertura di nuovi centri di distribuzione, i «costi di struttura», i «costi legati alla creazione di posti di lavoro» e altri. Secondo Amazon, questi investimenti sono compresi nella voce «costi dei materiali», che include anche l’acquisto di merce da rivendere e supera di poco l’intero fatturato. Tutto questo coincide però con una svolta che Amazon non aveva voluto: dopo anni di inchiesta, nel 2017 è stata condannata dalla Commissione Ue a rimborsare centinaia di milioni di tasse che la compagnia, secondo Bruxelles, aveva illegittimamente eluso in Europa (Amazon.eu respinge le accuse e ha presentato ricorso). La decisione della Commissione Ue è legata alla strada che prendevano i forti utili operativi che faceva Amazon.eu fino a qualche anno fa: venivano quasi tutti dirottati a titolo di diritti di proprietà intellettuale a un’altra società del gruppo, Amazon Europe Holding Technologies – nessun ufficio, nessun dipendente –, che riusciva in altri modi a rinviare il pagamento di qualunque tassa. Con questo giro, Amazon.eu in passato riusciva a evitare di pagare tasse su gran parte dei suoi profitti e da quando questo ingranaggio si è rotto ha cambiato strada. Ha scelto di non puntare a forti profitti operativi, su cui dovrebbe pagare forti tasse, ma alla conquista di quote di mercato. Non è un problema per Bezos subire perdite in Europa, perché può sempre sussidiarle con i guadagni in altre aree geografiche e soprattutto tramite la forte redditività nel mondo di Amazon Web Services, la parte del gruppo che offre servizi di cloud computing. L’effetto è di mettere fuori dal mercato la concorrenza di altri distributori fisici e online di beni di consumo, a qualunque costo. E solo quando controllerà parti più vaste del mercato retail, potrà finalmente alzare di nuovo i prezzi. © RIPRODUZIONE RISERVATA