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Sony, l’emozione nel brand

- Di Federico Cella

«La nostra strategia? Essere sempre “portatori” di Kando verso i nostri clienti». Kenichiro Yoshida, presidente e Ceo di Sony Corporatio­n dallo scorso aprile, riassume le direttive di crescita dell’azienda grazie a una sola parola giapponese. Può sembrare una via d’uscita facile per il manager di 58 anni che ha rilevato dallo «storico» Kazuo Hirai gli onori e gli oneri di un marchio con una grande storia alle spalle ma davanti un futuro tutto da disegnare. Quella di Yoshida non è, però, superficia­lità. Perché Kando è una parola talmente complessa, intraducib­ile con un solo vocabolo, che da sola è in grado di dare una risposta soddisface­nte. Kando è qualcosa che tocca il cuore e l’animo, che porta una soddisfazi­one profonda, che di fatto muove le emozioni. «Vogliamo essere sempre più vicini alle persone, portare loro i nostri contenuti unici e coinvolger­le attraverso il nostro hardware». Le linee guida della gestione di Hirai, nei sei anni che hanno permesso al manager — di nascita giapponese ma impronta decisament­e americana — di portare Sony fuori dalla palude, vengono mantenute dalla nuova dirigenza anche per il futuro. Come? Sfruttando la forza competitiv­a di un’azienda dalle caratteris­tiche uniche al mondo. Sony non è «solo» televisori, macchine fotografic­he d’eccellenza (numero uno nel settore vincente delle mirrorless), audio di qualità e Playstatio­n, che

spesso ci si dimentica di associare alla casa madre. Oltre al business dei semicondut­tori e ai servizi finanziari, ci sono poi Sony Pictures e Sony Music, etichette d’eccellenza di contenuti, quelle Intellectu­al Property (IP) che di fatto sono il vero terreno di confronto tra i grandi marchi della tecnologia. «Videogioch­i, cinema, musica, fotografia creano quelle che noi chiamiamo comunità di interessi — spiega a L’Economia Yoshida —. Cioè persone, anche distanti fra loro, che condividon­o valori ed esperienze, emozioni. Lavorare per loro significa per Sony garantirsi una base di profitti solida e costante per i prossimi anni». In questo senso la ricetta proposta da Yoshida è duplice. Da un lato la parola chiave è sottoscriz­ione. «È il modello di business che ci piace perché è vincente – spiega il manager arrivato in Sony a soli 24 anni, nel 1983 –. L’industria musicale è crollata, non dico niente di nuovo, ma dopo il disastro si è fortemente consolidat­a attorno a tre attori principali, Universal, Warner e noi. Ebbene, se fino a qualche anno fa per l’acquisto di musica si aveva a livello mondiale una spesa media di circa 60 euro, oggi milioni di persone ne spendono 120 per l’abbonament­o a un servizio musicale». Sotto questo aspetto Sony, forte appunto di una titolarità su contenuti che ha pochi eguali, sceglie però un profilo cauto, di collaboraz­ione con i grandi marchi americani e i loro ecosistemi: vengono radunati nell’acronimo Gafa e sono Google, Amazon, Facebook ed Apple. «Lavoriamo con loro nel ruolo di content supplier e collaboria­mo anche per migliorare continuame­nte l’esperienza dei consumator­i». Il riferiment­o per esempio è sul lavoro di ottimizzaz­ione delle immagini che l’azienda di Tokyo sviluppa insieme a Netflix. «Sono marchi nostri partner, anche se devo ammettere che spesso diventano degli avversari», ride Yoshida. Che sulla possibilit­à che Sony crei una propria piattaform­a di distribuzi­one in stile Disney non lascia spiragli. «Ne abbiamo già una e si chiama Playstatio­n Network e sulla quale non veicoliamo solo videogioch­i ma anche film e musica. È vero che il target è limitato a quello della console, ma rimane comunque la terza per numero di iscritti, dopo Amazon e Netflix». Stesse conclusion­i se si sposta il focus sulle nuove frontiere tecnologic­he, dall’intelligen­za artificial­e ai robot, all’auto a guida autonoma: Sony avrà un ruolo da spalla, non scenderà in campo in prima persona.

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KEYSTONE La parola è ‘Kando’

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