Sony, l’emozione nel brand
«La nostra strategia? Essere sempre “portatori” di Kando verso i nostri clienti». Kenichiro Yoshida, presidente e Ceo di Sony Corporation dallo scorso aprile, riassume le direttive di crescita dell’azienda grazie a una sola parola giapponese. Può sembrare una via d’uscita facile per il manager di 58 anni che ha rilevato dallo «storico» Kazuo Hirai gli onori e gli oneri di un marchio con una grande storia alle spalle ma davanti un futuro tutto da disegnare. Quella di Yoshida non è, però, superficialità. Perché Kando è una parola talmente complessa, intraducibile con un solo vocabolo, che da sola è in grado di dare una risposta soddisfacente. Kando è qualcosa che tocca il cuore e l’animo, che porta una soddisfazione profonda, che di fatto muove le emozioni. «Vogliamo essere sempre più vicini alle persone, portare loro i nostri contenuti unici e coinvolgerle attraverso il nostro hardware». Le linee guida della gestione di Hirai, nei sei anni che hanno permesso al manager — di nascita giapponese ma impronta decisamente americana — di portare Sony fuori dalla palude, vengono mantenute dalla nuova dirigenza anche per il futuro. Come? Sfruttando la forza competitiva di un’azienda dalle caratteristiche uniche al mondo. Sony non è «solo» televisori, macchine fotografiche d’eccellenza (numero uno nel settore vincente delle mirrorless), audio di qualità e Playstation, che
spesso ci si dimentica di associare alla casa madre. Oltre al business dei semiconduttori e ai servizi finanziari, ci sono poi Sony Pictures e Sony Music, etichette d’eccellenza di contenuti, quelle Intellectual Property (IP) che di fatto sono il vero terreno di confronto tra i grandi marchi della tecnologia. «Videogiochi, cinema, musica, fotografia creano quelle che noi chiamiamo comunità di interessi — spiega a L’Economia Yoshida —. Cioè persone, anche distanti fra loro, che condividono valori ed esperienze, emozioni. Lavorare per loro significa per Sony garantirsi una base di profitti solida e costante per i prossimi anni». In questo senso la ricetta proposta da Yoshida è duplice. Da un lato la parola chiave è sottoscrizione. «È il modello di business che ci piace perché è vincente – spiega il manager arrivato in Sony a soli 24 anni, nel 1983 –. L’industria musicale è crollata, non dico niente di nuovo, ma dopo il disastro si è fortemente consolidata attorno a tre attori principali, Universal, Warner e noi. Ebbene, se fino a qualche anno fa per l’acquisto di musica si aveva a livello mondiale una spesa media di circa 60 euro, oggi milioni di persone ne spendono 120 per l’abbonamento a un servizio musicale». Sotto questo aspetto Sony, forte appunto di una titolarità su contenuti che ha pochi eguali, sceglie però un profilo cauto, di collaborazione con i grandi marchi americani e i loro ecosistemi: vengono radunati nell’acronimo Gafa e sono Google, Amazon, Facebook ed Apple. «Lavoriamo con loro nel ruolo di content supplier e collaboriamo anche per migliorare continuamente l’esperienza dei consumatori». Il riferimento per esempio è sul lavoro di ottimizzazione delle immagini che l’azienda di Tokyo sviluppa insieme a Netflix. «Sono marchi nostri partner, anche se devo ammettere che spesso diventano degli avversari», ride Yoshida. Che sulla possibilità che Sony crei una propria piattaforma di distribuzione in stile Disney non lascia spiragli. «Ne abbiamo già una e si chiama Playstation Network e sulla quale non veicoliamo solo videogiochi ma anche film e musica. È vero che il target è limitato a quello della console, ma rimane comunque la terza per numero di iscritti, dopo Amazon e Netflix». Stesse conclusioni se si sposta il focus sulle nuove frontiere tecnologiche, dall’intelligenza artificiale ai robot, all’auto a guida autonoma: Sony avrà un ruolo da spalla, non scenderà in campo in prima persona.