Alba incerta sul Barbiere
Entusiasmo, e scetticismo, per l’opera di Rossini, al Lac fino a domenica 9 settembre Ottima prova del maestro Diego Fasolis, che ha saputo allontanarsi dalla tradizione esecutiva pur disorientando parte del pubblico, e una messa in scena equilibrata nono
La passeggiata giunge quasi alla spiaggia e il profumo salmastro proveniente dal molo ci fa prefigurare l’Adriatico. A nostra sorpresa, prima dello stupore della brezza marina, una sfera, tanto metallica quanto imponente, attira la nostra attenzione. Siamo a Pesaro, e l’occhio curioso di un ticinese riconosce l’opera d’arte contemporanea di A. Pomodoro da una sorella luganese altrettanto bella e imponente. Attraverso questa scultura imponente, cara a tutti noi, meditata la sera stessa prima di entrare al Lac per il concerto, cerchiamo di comprendere l’opera ‘Il barbiere di Siviglia’ di Gioacchino Rossini. La sua superficie liscia e perfetta, tranquillizzante, facilmente riconoscibile ovunque, porta la firma di una perfezione artistica elaborata in anni di esperienza. Lo stesso Rossini, antico concittadino di una delle città che accolgono le sfere del Pomodoro, ci ha consegnato un’opera che a ragione è un capolavoro. L’equilibrio fra i due atti, gli intrecci di trama complessi ma di semplice comprensione, le armonie equilibrate e al contempo ricercate, portano ad una perfezione tale che riesce a trascendere le regole stilistiche al punto da “non essere definibile né come opera buffa tout court, né tantomeno come opera legata a un certo romanticismo di tendenza” (La febbre del Barbiere, Carmelo Rifici, regista). Dopotutto le rotonde sinuosità della Scultura ricordano un barocco tanto lontano dallo stile dello Scultore che, da contemporaneo, rompe tale perfezione e mostra il meccanismo provocante la perfezione finale. Il ‘Barbiere di Siviglia’, prima esecuzione il 20 febbraio 1816, su libretto di Cesare Sterbini dalla commedia del 1775 di Beaumarchais, ha un’anima complessa e un meccanismo interiore composito. Ci sono influenze musicali: l’autore, pur avendo accettato la commissione dell’opera a soli due mesi dalla prima, si è saggiamente avvalso della consuetudine di riprendere parti musicali di altre sue precedenti opere con la capacità di riadattare parti estremamente drammatiche in un contesto buffo. Inoltre, caro al
direttore musicale Diego Fasolis per l’esecuzione luganese, il diapason ‘classico’ regolato a 430 Hz porta un secolo di discussione nella comunità scientifica musicale per decidere, solo nel 1971, il 440 Hz come ‘la’ internazionale. Ci sono inserimenti socio-politici: la commedia alla base del libretto fu al centro di una forte controversia politica antimonarchica e la sua rappresentazione nelle corti determinava leggerezze o visioni politiche più o meno provocatorie o liberali. Sicuramente tutti questi elementi sono raccolti dalla bravura dell’autore che li ha unificati e serviti come un gustoso e prelibato piatto, figura che rammenta la fama del pesarese buongustaio. Parlare dell’esecuzione de ‘Il Barbiere di
Siviglia’ in prima il 3 settembre al Lac di Lugano, sotto la direzione musicale di Diego Fasolis e la regia di Carmelo Rifici, vuol dire innanzitutto invitare ad una partecipazione attiva alle repliche del 5 e 7 settembre alle 20 o del 9 alle 15. Per chi non riuscisse ad organizzare gli ultimi biglietti disponibili, in un’occasione gratuita, il 7 settembre, verrà proiettata l’opera in Piazza Luini, davanti al Lac, dalle 19.30. Il mio invito è spinto soprattutto dalla controversia percepita, e discussa, già durante l’intervallo tra gli atti. Il pubblico, a svariati livelli, si è diviso tra entusiasmo e scetticismo e, pur essendo contrario a questo tipo di rapporto con l’arte, proverò a valutare i punti della controversia. La direzione musicale del maestro Fasolis, frutto di un approccio empirico musicale e storico, è figlia della vera musica a cui ormai dovremmo essere abituati: la scelta di una esecuzione con strumenti dell’epoca, lo studio profondo dell’originale rossiniano, l’approfondimento storico dell’impatto e della conoscenza storica tra territorio e opera, la scelta del diapason a 430 Hz e l’adattamento stilistico-storico al canto e agli abbellimenti sono frutto di scelte di un bravo direttore e cultore del sapere musicale. La tradizione esecutiva del Barbiere, però, ha portato a scelte diverse per parecchi anni e i fattori stilistici ed esecutivi hanno provocato incomprensioni. Al di là di quella che è una scelta empirica, da me difesa ma comprensibilmente anche discutibile, il problema si è potuto riscontrare spesso nella capacità di convincere il pubblico nell’interpretazione: si prenda per esempio la famosa cavatina di Rosina ‘Una voce poco fa’, interpretata dal contralto Lucia Cirillo con maestria e tecnica ma percettibilmente poco personale, quasi imposta su una scelta ingabbiata nel suo essere. I Barocchisti, che hanno regalato un suono rotondo e amalgamato, ma al contempo perfettamente riconoscibile a livello timbrico ed esecutivo, sono stati penalizzati da una buca di scena che fin dall’ouverture intrappolava il suono privando, quantomeno in platea, di un ritorno al quale siamo abituati nella maggior parte delle sale da concerto internazionali. Le voci del coro come quelle degli interpreti principali sono state, pare volutamente, scelte e impostate per non strappare l’applauso superficiale, memore di esecuzioni di un virtuosismo ormai fuori luogo ed esibizionistico, ma per donare una qualità e una bravura omogenea. Laddove, però, tale intento era infranto, anche forzato dal carattere del personaggio, è emerso l’aspetto più lacunoso dell’esecuzione vocale: penso alla splendida voce del basso Giorgio Caoduro, nel ruolo di Figaro, che nei noti e frequenti scioglilingua virtuosistici o perdeva la dizione e la comunicazione testuale o si ‘nascondeva’ dietro l’orchestra. Oppure la stessa già citata Rosina che lasciava esplodere la portentosa potenza vocale negli acuti creando un eccessivo divario nel crescendo, frutto forse anche qui della sensazione già espressa. La messa in scena, la regia e i costumi mi hanno convinto nel buon equilibrio tra semplicità minimalista e orpelli barocchi ma, senza voler svelare troppo, alcune scelte estremamente ‘pop’ dell’importante intervento delle luci di Alessandro Verazzi sono risultate troppo distaccate dal contesto anche ad un occhio che apprezza i contrasti come quelli descritti dall’arte scultorea del Pomodoro. Forse la meditazione attorno alla Sfera mi ha portato alla memoria la recente esecuzione estiva del Barbiere all’Arena di Verona, probabilmente una delle esecuzioni più riuscite a cui ho potuto assistere, e quindi potrei non essere completamente distaccato dal temibile e poco onesto confronto di scelte artistiche. Resta il fatto che la portata, la serietà e la professionalità nell’insieme ci hanno regalato una buona esecuzione che vale l’ascolto e la partecipazione.