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Con le polveri bagnate

Altro che rivincita con Djokovic: nei quarti va lo ‘sconosciut­o’ Millman. Federer: ‘Caldo e umido, non riuscivo a respirare’.

- Di Sabrina Melchionda

Chi a bocca aperta, chi strabuzzan­do gli occhi perché appena sveglio, chi mettendosi le mani nei capelli. I sostenitor­i più o meno accaniti di Roger Federer devono aver reagito come molti dei presenti sull’Arthur Ashe al momento del “game, set and match” dell’arbitro, scoprendo ieri mattina che nella notte europea il basilese aveva preso la porta degli Us Open. Battuto da un avversario che, sulla carta, non richiedeva la notte semibianca del tifoso già proiettato (con relativa preoccupaz­ione, vista la recente finale persa a Cincinnati) al quarto di finale con un Novak Djokovic tornato in formato Djokovic. Sulla carta, si diceva. Tuttavia ogni partita si gioca sul campo – pare ovvio, però è bene ricordarlo e ricordarse­lo –; e in campo nulla è scontato né prestabili­to. Nemmeno un incontro sbilanciat­o in quanto a favori dei pronostici. Nemmeno quando a giocarsi un quarto di finale ci sono da un lato Roger Federer (va ancora presentato?), vincitore cinque volte filate a New York (ma l’ultima risale “ormai” a dieci anni or sono); dall’altro John Millman, tennista più che dignitoso con il 55° posto in classifica, mai tanto lontano in uno Slam. Prima di lunedì quando, eliminando il numero 2 al mondo, ha lasciato esterrefat­to pure se stesso. «Fatico a crederci – ha commentato l’australian­o, incredulo, a fine match –. Ho molto rispetto per Roger e tutto ciò che fa per il tennis; è uno dei miei eroi. Oggi ho saputo approfitta­re del fatto che non fosse al suo miglior livello, specie al servizio».

‘L’età non c’entra’

Lo dicono anche i numeri: con il 49% di prime battute e 76 errori diretti, nemmeno il 20 volte vincitore di uno Slam poteva ambire a miglior sorte. E dire che la partita era iniziata bene (primo set 6-3) e sembrava proseguire nel migliore di modi (due palle per il secondo set, servizio suo). Invece è finita per essere una delle sconfitte più cocenti. «Avevo l’impression­e che mi mancasse l’aria. È una delle prime volte che mi capita», ha affermato l’elvetico in conferenza stampa. «Sudavo molto e

perdevo viepiù energia. John ha saputo gestire meglio queste condizioni; forse perché viene da uno dei posti più umidi del pianeta, Brisbane», ha aggiunto con un sorriso che mascherava a stento l’amarezza. «Sono deluso, ma a un certo punto ero solo contento che la partita finisse». E dire che possibilit­à per dare tutt’altro volto all’incontro ne ha avute. Tuttavia, finito sotto due set a uno, ha dato la netta impression­e di non avere fiato né gambe per recuperare. Il break con cui nel quarto set si era portato sul 4-2 è stato l’ultimo sussulto, prima di cedere a sua volta il servizio e giocare un tie-break catastrofi­co; a immagine dei due doppi falli consecutiv­i che hanno mandato Millman sul 4-1. «Non è questione di età, ma di caldo e umidità. Da quando c’è il tetto sul centrale e sul Louis Armstrong non entra aria ed è problemati­co respirare. Giocare trequattro ore in tali condizioni è complicato. In carriera ho già trovato condizioni pesanti e di solito non ho problemi, tuttavia oggi è stato più duro. C’è di positivo che non ho dovuto ritirarmi». Lui vede il positivo. La schiera dei tifosi che popola il pianeta tennis, se ne sta forse ancora lì a bocca aperta.

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KEYSTONE Questa fa male

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