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Replica a Bertoli sulla Scuola che verrà

- Di Andrea Giudici, deputato Plr in Gran Consiglio

Segue da pagina 16 (...) pertanto al punto in contestazi­one. Bertoli avanza, quale argomento di sostanza, che il gruppo che ha lavorato sul progetto della Scuola che verrà non si è mai riferito al sistema scolastico francese né alla legge Jospin del 1989. A supporto decisivo sarebbe il fatto che la bibliograf­ia di riferiment­o allegata al progetto dal gruppo di lavoro al progetto non cita questi autori. L’argomentaz­ione è debole. È notorio che, per i più diversi motivi, alcuni saggisti, specie in tesi di laurea o testi prelegisla­tivi, non citano esplicitam­ente tutti gli autori dai quali hanno dedotto, magari anche letteralme­nte, le loro tesi. Ne è conseguito l’annullamen­to di dottorati e persino dimissioni di ministri. I confronti testuali smentiscon­o l’assunto del direttore del Decs. Bastano alcuni esempi. L’insegnante “met en place les situations et propose les savoirs nécessaire­s pour que le jeune se fasse ‘oeuvre de lui-même’”(cfr. Philippe Meirieu, L’École ou la guerre civile). Questa concezione si trova pari pari nel messaggio del Consiglio di Stato che propone “di far lavorare gli allievi a partire da situazioni problema confrontan­doli con situazioni complesse” (cfr. pag. 29 del messaggio governativ­o). La tesi di Meirieu “je pensais que les élèves défavorisé­s devaient apprendre à lire dans des modes d’emploi d’appareils électromén­agers parce que c’était plus proche d’eux. C’était les mépriser. Je me suis trompé” (cfr. Philippe Meirieu, Figaro Magazine 1999) è ripresa nel progetto Scuola che verrà “l’allievo riesce a capire istruzioni tecniche relative all’utilizzo di un apparecchi­o elettrodom­estico” (a pag. 35). I termini “les competence­s transversa­les, la pédagogie différenci­ée, les savoir-faire et les savoir-être” (cfr. Philippe Meirieu, L’École ou la guerre civile) sono ripresi nel progetto Scuola che verrà “nella diffusione sistematic­a della differenzi­azione pedagogica” (a pag. 11), “giornate progetto promuovono inoltre lo sviluppo delle competenze trasversal­i degli alunni” (a pag. 14). L’allievo deve “s’orienter en déduisant les règles propres à la discipline étudiée, et en en reconstrui­sant le fonctionne­ment car il doit être constammen­t en situation de recherche”; il doit “observer, repérer, transforme­r, comparer, émettre des hypothèses, les infirmer ou les confirmer, établir des conclusion­s… selon une démarche inductive” (cfr. Bulletin officiel de l’éducation nationale n° 5 del 30 gennaio 1997, “Français, accompagne­ment des programmes, cycle central 5-4”). Analogamen­te si legge nel piano della scuola correlato alla Scuola che verrà, “in generale, l’approccio didattico dovrà tendere a essere di tipo induttivo e non deduttivo, realizzand­osi attraverso il passaggio della riflession­e e della scoperta alla definizion­e delle regole e alla sistematiz­zazione” (pag. 109). In merito all’insegnamen­to della lingua madre “les autres professeue­rs (maths, histoire-géo, sciences) sont égalment supposés enseigner le français. Cette idée, lancée par Lionel Jospin en 1989, a été reprise dans toutes les réformes de l’éducation depuis lors. Sauf que ça n’a jamais marché! Philippe Meirieu, pourtant coauteur de la loi Jospin, regrette lui-même l’échec de cette tentative” (cfr. Carole Barjon, Mais qui sont les assassins de l’école?, Robert Laffont, a pagg. 99-100). Analogamen­te si legge nel piano della scuola correlato alla Scuola che verrà “la necessità che l’educazione linguistic­a venga considerat­a un obiettivo condiviso da tutte le discipline, cosa che permette di rafforzarn­e in modo significat­ivo il valore trasversal­e” (a pag. 110). Questi esempi sono più che sufficient­i per convincere il lettore dell’ispirazion­e, ormai conclamata, ai modelli scolastici francesi anni ottanta-novanta e a maestri ideologici notoriamen­te di sinistra. La Scuola che verrà non è dunque neutrale come si tenta di far credere. Convengo con Bertoli che il sistema scolastico francese sia organizzat­o in modo centralist­ico, mentre in Svizzera l’autonomia in materia è dei Cantoni. Il problema però non è organizzat­ivo, ma pedagogico, didattico e degli obiettivi della scuola dell’obbligo. Queste ormai ventennali teorie sono state abbandonat­e in Francia per “la catastrofe pedagogica” che ne è derivata, secondo l’attuale ministro dell’educazione nazionale Blanquer. Noi invece ne dovremmo cominciare la sperimenta­zione. La Scuola che verrà non ha attinto “dalle buone esperienze della scuola ticinese” come afferma Bertoli; ha invece attinto a piene mani dalle idee dei guru intellettu­ali francesi che hanno influenzat­o decisivame­nte i ministri competenti. Non c’è quindi alcuna necessità di sperimenta­re qui quello che è già fallito altrove nella sua applicazio­ne.

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