Al di sopra della legge
Segue dalla Prima (...) come è d’uso tra imprenditori corsari, non dichiari fallimento e riapra bottega con una nuova ragione sociale, un ritocco al nome e il concorso generoso di nuovi soci? Che non abbia ereditato dalla tanto vituperata “Italia” il disgustoso stereotipo secondo cui la furbizia fa premio sull’intelligenza o l’onestà? L’altra ragione, ben più grave e di sostanza, è che la decisione del tribunale del riesame (ricorribile in cassazione, va ricordato) interviene in un quadro irreversibilmente guasto, nel quale ogni affermazione di giustizia, di visione politica, ma anche solo di umanità, viene rovesciata nel proprio contrario, irrisa, affogata nella marea montante di un sentimento collettivo avvelenato e indisposto ad autoesaminarsi. E così assicura nuovi consensi a Salvini. Un paradosso drammatico, che designa bene lo stato in cui versa, di nuovo, l’Italia, ma che richiama un corso già avviato in ben altre parti d’Europa e del mondo “democratico”. Dove cioè la giustizia non è stata assoggettata (dalla Polonia all’Ungheria, alla Turchia), la violazione della legge e il conflitto con la magistratura alimentano l’ego e la popolarità di governanti dalle spiccate pulsioni autoritarie, da Trump allo stesso Salvini (se è lecito paragonarli). Anche per questo, ma soprattutto per una questione di dirittura morale, sarebbe incauto da parte delle opposizioni far conto su scorciatoie giudiziarie per disfarsi di tipi simili: letta sul lungo periodo, la situazione italiana di oggi è anche nipote, seppure illegittima, della sollevazione giustizialista innescata da Mani Pulite (la cui eredità fu spartita tra Berlusconi e Bossi). E in ogni caso il male è ben più grave se mezzo Paese ha finito per adeguarsi all’idea che migrare sia un reato, che un ladro di polli vada messo ai ceppi, che chi froda e imbosca milioni di euro merita il suo voto.