Sull’export di armi ‘dovrà esprimersi la popolazione’
Un’iniziativa popolare mira a impedire un allentamento dei criteri per l’export di materiale bellico Un’ampia alleanza interpartitica intende dare la possibilità alla popolazione di esprimersi anche su una modifica di un’ordinanza
Sta alla popolazione decidere sull’allentamento dei criteri per esportare armi. Ammesso che voglia avere l’ultima parola in capitolo. Lo sostiene un’ampia allenza interpartitica che ieri ha presentato un’iniziativa popolare per impedire che in futuro venga venduto materiale bellico anche in Paesi teatro di una guerra civile. Tuttavia, l’iniziativa verrà lanciata solo se entro due settimane saranno raccolte almeno 25mila firme. Lo scorso giugno il Consiglio federale ha deciso che, a causa di una difficile “situazione economica del settore” e per “preservare una base industriale sufficiente”, è necessario ammorbidire i criteri di autorizzazione presenti nell’Ordinanza sul materiale bellico (Omb). Né il governo, né le commissioni della politica di sicurezza delle due Camere hanno però ritenuto necessario avviare una procedura di consultazione che avrebbe permesso a Cantoni, partiti, gruppi d’interesse ed esperti di esprimere un’opinione sul progetto dell’esecutivo. La commissione del Nazionale ha motivato tale scelta con il fatto “che anche per precedenti modifiche dell’Omb si è rinunciato a una consultazione”. Un’altra interpretazione è che Berna non abbia giudicato il progetto di “ampia portata politica”: se fosse stato così l’apertura di una procedura di consultazione sarebbe stata obbligatoria. Visto il dibattito pubblico che si è scatenato nelle ultime settimane, questa argomentazione non sembrerebbe però essere molto azzeccata. Insomma, il punto è che non si può lanciare un referendum su una modifica di un’ordinanza. E per questo motivo rappresentanti di Ps, Verdi liberali, Verdi, Pbd, ambienti ecclesiastici, organizzazioni umanitarie come Amnesty International e il Gruppo per una Svizzera senza esercito (Gsse) hanno deciso di presentare un’iniziativa ‘mascherata’ proprio da referendum. Stando ai promotori, il Consiglio federale ha chiaramente superato una linea rossa cedendo unilateralmente di fronte alle pressioni dell’industria bellica. Le norme relative all’esportazione verrebbero così alleggerite senza che il parlamento possa pronunciarsi. Ora, se in due settimane riusciranno a raccogliere 25mila firme, ciò sarà interpretato come un segnale che la popolazione vuole dire la sua sull’argomento. Una votazione simile c’era già stata nel 2009, quando i cittadini avevano chiaramente respinto con il 68% dei voti l’iniziativa del Gsse ‘Per il divieto di esportare materiale bellico’. Allora la motivazione principale per il ‘no’ fu la paura di una perdita massiccia di posti di lavoro (tra i 5’000 e i 10’000 impieghi), preoccupazione espressa ancora oggi sia dai produttori di armamenti elvetici, sia dalla commissione del Nazionale. Allora però i partiti borghesi si erano chiaramente schierati contro l’iniziativa, mentre oggi si ritrovano dalla stessa parte del Gsse. Bisogna anche dire che nel 2009 la modifica costituzionale chiedeva di vietare le esportazioni di armi, mentre questa mira soltanto a ristabilire la situazione antecedente al 2014, ovvero prima che il governo allentasse i criteri di esportazione permettendo la vendita di materiale bellico anche in Paesi che non rispettano i diritti umani.
Un ritorno al passato
È interessante notare la differenza di approccio del Consiglio federale: oggi – dopo l’insediamento del ‘ministro’ degli Esteri Ignazio Cassis e un conseguente spostamento a destra dell’esecutivo, sostengono alcuni analisti – è proprio il governo che spinge verso una maggiore libertà di esportazione per l’industria bellica elvetica. Dieci anni fa, invece, il Consiglio federale – anche in virtù della votazione sull’iniziativa del Gsse – aveva deciso di rendere più rigidi i criteri per l’export di armi: alla fine del 2008 l’ordinanza sul materiale bellico era stata modificata, prevedendo un divieto di esportazione verso Paesi coinvolti in un conflitto interno o internazionale o verso Stati che violano sistematicamente i diritti umani. Insomma, si tratta della situazione alla quale vuole tornare l’ampia alleanza che ieri ha presentato l’iniziativa.