Bombe a orologeria
Tra Russia e Stati Uniti si sta disputando una tesissima partita sul rinnovo dei trattati per il controllo (di riduzione non si parla più) degli arsenali nucleari. Le nuove tensioni tra Washington e Mosca, oltre all’ossessione di Trump di cancellare le decisioni di Barack Obama, non facilitano il raggiungimento di un accordo. Le spese militari dei due Paesi non fanno che aumentare.
Turku – “Ci rivediamo nel 2019 a Kalmar”. Così un comandante svedese dà appuntamento ai cadetti delle Marine di quattro Paesi scandinavi schierati in una piazzetta adiacente al porto finlandese di Turku. Gli annuali “giochi” sono appena finiti. Questo personale difficilmente sarà impegnato localmente in future operazioni di guerra convenzionale, ma sarà utilissimo in possibili scenari da conflitto “ibrido”, come in Ucraina con l’uso ad esempio di irregolari e di cyberwar. Dall’altra parte del Baltico, alle porte della capitale lettone, ad Adazhi, poco più di un migliaio di soldati della Nato continua ad addestrarsi, da un anno e mezzo, contro pericoli del genere, provenienti da Est; mentre la Polonia ha appena chiesto alla Casa Bianca di ospitare una stabile base Usa sul suo territorio. Il “fianco orientale” dell’Alleanza atlantica preoccupa e non poco. Il discorso di Vladimir Putin del primo marzo sulle nuove armi è stato interpretato in questi Paesi come un’ulteriore minaccia. Ma allo stesso tempo è stato preso al volo dall’Amministrazione Trump per riavviare dietro alle quinte il complesso capitolo dello smantellamento dei costosissimi arsenali nucleari. Non c’è traccia nelle dichiarazioni ufficiali e non se n’è parlato nella conferenza stampa del vertice Putin-Trump ad Helsinki troppo concentrata sullo scandalo “Russiagate”. Ma Mosca e Washington stanno insieme sondando il terreno per smuovere le acque, poiché la scadenza del 2021 si sta inesorabilmente avvicinando. Secondo fonti anonime il capo del Cremlino avrebbe consegnato in Finlandia al collega statunitense proposte al momento top secret. A causa della crisi ucraina “da tanto tempo non si negozia – ci aveva spiegato l’autorevole esperto militare Viktor Litovkin –. Per noi l’arsenale nucleare è estremamente importante, avendo un territorio così esteso. Per gli Usa, è diverso: loro hanno gli oceani che li proteggono. Il nucleare serve per mostrare i muscoli e non per delle battaglie. Lo si potrebbe utilizzare in altri territori se si hanno a disposizione armi ed aviazione precise. La riduzione degli arsenali è necessaria per risparmiare denaro e sviluppare missili più efficaci”. In altre parole, per mantenere intatta l’attuale supremazia militare di Russia e Stati Uniti. Semplificando al massimo, sono ora due i trattati punti di riferimento: l’Inf (sul bando dei sistemi nucleari a corto e medio raggio) del 1987 ed il Nuovo Start (Snv3 per i russi), erede delle precedenti intese, sulla riduzione e limitazione delle armi strategiche offensive del 2010, entrato in vigore il 5 febbraio 2011 e con validità di 10 anni. Da mesi circolano voci insistenti che Washington vorrebbe emendare o cancellare l’Inf, ideato negli anni Ottanta per porre fine alla cosiddetta “crisi degli euromissili”, e Mosca avrebbe già risposto dislocando i suoi Iskander nell’enclave di Kaliningrad. Ricordandosi della mossa della Casa Bianca nel dicembre 2001 sul ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal Trattato anti-missili balistici (Abm) del 1972 – che ha aperto la strada alla creazione di “Scudi” in Europa e nel Pacifico (gli “Scudi” erano messi al bando per rafforzare lo scenario di reciproca distruzione, ndr) – Vladimir Putin avrebbe messo le mani avanti.
Un equilibrio precario
Il Cremlino è a conoscenza che Trump condivide la medesima posizione critica dei repubblicani sul Nuovo Start, come si ricorderà ispirato da Barack Obama, che quando era senatore era venuto in visita in Russia proprio per la questione disarmo. Ossia, dal 2011 il trattato ha limitato la possibilità di ammodernamento dell’arsenale Usa; gli obiettivi definiti sono modesti e la trasparenza sulla sua applicazione lascia a desiderare; si è concesso a Mosca un rilevante vantaggio, poiché nello Start non vengono considerate le armi tattiche nucleari, settore in cui la Russia è fortissima. Un passo indietro: sono definite armi tattiche o non strategiche, quindi non balistiche (non volano fuori dall’atmosfera con una traiettoria alta), quelle a corto raggio come missili o colpi da artiglieria utilizzabili sui campi da battaglia. Il Nuovo Start ha previsto in un decennio la riduzione degli arsenali della metà. Secondo gli ultimi dati del Sipri di Stoccolma, nel febbraio 2018 la Russia aveva a disposizione: 6’850 testate, di cui 2’500 in attesa di essere disarmate, 4’350 di fatto ancora presenti e 1’444 in uso. Gli Stati Uniti rispettivamente: 6’550, 2’550 ritirate, 4’000 presenti, 1’350 in uso. Molte di queste testate sono obsolete, pericolose e la loro manutenzione costosissima. Staremo a vedere cosa Putin e Trump faranno per raggiungere un accordo per entrambi conveniente. L’equilibrio si regge soprattutto sui sottomarini, dotati di missili balistici nucleari intercontinentali, nascosti nelle profondità degli oceani e spesso non intercettabili. I russi ne hanno 12, di cui tre nel Pacifico, gli altri sotto l’Artico dipendenti dalla Flotta nord. Gli americani 14, ma solo 12 operativi, in prevalenza nel Pacifico. A questi si aggiungono i missili a terra ed una sessantina di bombardieri a testa. Washington utilizza le sue 11 portaerei più che altro per compiti tradizionali. In ultimo le dottrine nucleari: la Russia ha rivisto la sua nel 2010, gli Usa – che nel solo 2018 hanno investito 589 miliardi di dollari nel nucleare militare – ci stanno pensando.