Un polo per un’altra urbanità
L’intervista / Claudio Chiapparino e il programma del Foce, luogo di esplorazioni artistiche Mentre il Foce conferma la sua scelta di incrociare linee creative diverse, locali e non solo, ci poniamo una domanda. Che cosa sarà o dovrebbe essere l’offerta c
Ci sono il teatro, la sala concerti, l’Agorateca, il Foyer e un nuovo giardino. Qui s’incrociano la musica, il teatro nelle sue varie forme, la danza, il cinema, gli incontri con scrittori e altri artisti. È l’altro polo di Lugano, chiamatelo se volete «polino artistico», come dice ridendo Claudio Chiapparino, direttore della Divisione eventi e congressi a Lugano. In una parola, è il Foce, che ieri ha presentato il suo programma. Un cartellone in cui si spazia fra le esplorazioni musicali della rassegna Raclette, le proposte del Festival internazionale di teatro e quelle della scena teatrale ticinese, il Festival delle marionette e le altre proposte per i più piccoli, le rassegne di cinema e la letteratura, i diritti umani e la comicità in forma d’Improfilm di Tobia Botta... Per il programma rimandiamo al sito foce.ch e poniamo qualche domanda a Chiapparino.
Fra tutte queste proposte, quale vuole essere la vocazione del Foce? Quale il suo ruolo nell’offerta culturale luganese?
Forse potremmo capovolgere la domanda. Non ci chiediamo che cosa siamo o quale sia la nostra mission, ma se ha ancora senso proseguire sulla strada che abbiamo scelto già molto tempo fa. Cioè quella di incrociare le diverse linee artistiche della creatività locale, nei diversi generi e secondo i diversi target, all’interno degli spazi della nostra realtà, per farla crescere il più possibile. Dopo l’avvento del Lac questa linea ha ancora senso? La novità del programma di quest’anno, grazie al fatto che il Lac concede più spazio alle realtà locali oppure che qui si unisce a rassegne come quella del
Mat, è che al Foce si è creato ancora più spazio, tant’è che già fra le proposte dei primi mesi di stagione ne abbiamo una metà di nuove compagnie. Quindi questo ci incoraggia a perseguire la linea che abbiamo sempre tenuto, è un nostro compito fondamentale offrire ulteriore spazio a delle novità.
Considerato questo fermento artistico che caratterizza il Ticino, basta il Foce ad accoglierlo?
Il Foce ha il vantaggio di avere una dimensione teatrale intima, adatta a forme artistiche che prevedono una maggiore integrazione del pubblico. Il fatto che possiamo proporre la scoperta di nuove realtà dimostra che c’è ancora spazio. Dopo, che questo basti è difficile da dire. Di sicuro quel che serve a Lugano è uno spazio maggiore per le prove delle produzioni, sarebbe peccato bloccare un teatro per questo. Bisogna poi vedere come evolvono proposte che escono dalle forme e dai luoghi abituali, come quella di Camilla Parini che va alla ricerca di luoghi abbandonati, per cui sarà interessante vedere come altri spazi culturali potrebbero contribuire ospitando spettacoli di questo tipo. Infatti, come accade in Svizzera e nel mondo, non è detto che queste novità debbano crescere sempre in spazi “istituzionali”.
Pensando alla risposta del pubblico, i risultati giustificano il vostro sforzo?
Devo dire che soprattutto le realtà nuove e fresche hanno una capacità elevata di mobilitazione di nuovi pubblici. Per quanto riguarda le compagnie storiche, la risposta è normalmente altalenante.
Dopo 25 anni a Lugano, quali esigenze vede sul piano dell’offerta culturale nel futuro prossimo della città?
Noi siamo una piccola città con tante caratteristiche da grande città. In questo senso dovremmo sviluppare di più l’aspetto dell’urbanità, intesa come una vita culturale vivace in cui ci sia molto più fermento a livello di locali e di club, non per forza tutti originali come il Morel o il Turba. Occorre però una rete di realtà di diverso tipo. Mi sono sempre un po’ ispirato al modello di Edimburgo, con i suoi tanti spazi che partecipano alla creazione di eventi e attività: per ogni festival o iniziativa, ci sono le proposte istituzionali e quelle alternative in cui tutti, fino all’ultimo scantinato, s’inventano qualcosa perché tutti vogliono collaborare. Penso che per noi la direzione da prendere sia verso una maturità tipica di un’urbanità più vissuta dalle grandi città, in modo da diventare più attrattivi per l’esterno; senza limitarci a guardare ciascuno al suo, senza restare divisi ma alleandoci molto di più.