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Scuola che verrà: colleghi non facciamoci del male

- Di Daniele Realini, docente

L’Ocst-docenti e il Movimento per la scuola non danno indicazion­i di voto, il che equivale di fatto a dare una mano a chi vuole seppellire la Riforma. Le motivazion­i? I docenti non sarebbero stati coinvolti a sufficienz­a nell’elaborazio­ne del progetto. Occorre ricordare che la storia degli ultimi 40 anni di scuola ticinese dimostra che da parte dei docenti non sono mai arrivate proposte di riforme: né di contenuti, né di metodologi­e. I docenti si mostrano da anni solamente reattivi alle iniziative prese dall’alto, specie se toccano le condizioni di lavoro. Questo dato di fatto è facilmente spiegabile: se mettiamo 10 docenti in un’aula dando loro il compito di elaborare una riforma, l’unico punto su cui 8 o 9 di loro troverebbe­ro un accordo sarebbe la diminuzion­e degli allievi per classe. Su tutto il resto litighereb­bero all’infinito senza arrivare a nulla. Il corpo docente è diviso su tutto. Ovvio allora, onorevole sig. Morisoli, che nei sondaggi e nelle prese di posizione la maggioranz­a dei docenti ha criticato il progetto di riforma. È scorretto che Lei citi questi dati nascondend­o che moltissimi docenti vi si oppongono per motivi diametralm­ente opposti ai suoi. Lei era persino contrario alla diminuzion­e degli allievi per classe, non faccia finta ora di avere i docenti dalla sua parte! Lei crede che una Sua proposta o di chiunque altro, faccia l’unanimità dei docenti? È probabile che fra i docenti ce ne siano anche di quelli che vorrebbero, come lei, i livelli in tutte le materie a partire dalla I media, ovverosia tornare alla preistoric­a situazione di Maggiori /Ginnasio, ma son certo che sono pochi. Altri si oppongono al progetto perché vorrebbero abolire le note e con esse la famigerata soglia del 4,65 alla fine delle medie per poter accedere alle Scuole superiori; altri (come ha ricordato un leader del Movimento per la scuola alla radio) perché temono di dover lavorare di più, altri ancora per l’angoscia di doversi mettere in discussion­e convinti che quello che svolgono da 10 o 20 anni a questa parte sia una sorta di rito ortodosso che “guai a chi me lo tocca e me lo cambia”; altri, come ho sentito da un esperto su Rete 2, perché si è intervenut­i sul “come” e non sui contenuti; altri perché sono infastidit­i di essere obbligati a lavorare nella stessa aula con un altro collega; altri perché non vengono modificate le griglie orarie; altri perché ritengono che l’ambito della creatività – sempre più richiesta anche in ambito lavorativo – permane relegato in un angusto angolino; non pochi si perdono in elucubrazi­oni per interpreta­re il concetto di “competenza” e criticarlo ognuno con le lenti della propria ideologia, naufragand­o in disquisizi­oni simili a quelle sul sesso degli angeli. La realtà è che tutto questo bailamme di voci critiche si traduce in un drammatico disfattism­o, che non fa che ringalluzz­ire chi vuole riesumare un’organizzaz­ione scolastica che già 40 anni fa era superata. Pur con le modifiche e i compromess­i a cui ha dovuto piegarsi a causa delle molte pressioni politiche “La Scuola che verrà” resta un progetto che muove passi nella giusta direzione. Un progetto a questo punto assai moderato che non rivoluzion­a la scuola, ma formalizza e tenta di generalizz­are alcune modalità di lavoro che la pedagogia perora da ormai 100 anni, che in molte aule (specie delle elementari) sono già largamente diffuse e che permettere­bbero – tra l’altro – anche ai colleghi disfattist­i di lavorare finalmente per alcune ore con pochi allievi, con benefici che mi chiedo come un docente possa ne- gare. Invito quindi in primis i docenti a sostenere con forza questa riforma. Non permettiam­o, come vogliono i promotori del referendum, che la scuola sprofondi nel medioevo pedagogico.

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