Trump schiera l’artiglieria dei dazi contro la Cina
Washington – Ha aspettato la chiusura di Wall Street, ma la sola attesa è bastata a deprimere la Borsa. Donald Trump ha annunciato ieri l’imposizione di nuovi dazi alla Cina, fino a 200 miliardi di dollari. E la Cina non è rimasta a guardare, minacciando a sua volta di cancellare ogni tipo di dialogo con Washington e di mettere in campo nuove rappresaglie per colpire i beni prodotti in America ed esportati sul mercato cinese. La preoccupazione per una guerra commerciale che può minare l’economia Usa e quella globale è palpabile sui mercati, molto nervosi, a partire da Wall Street. Ma crescono i timori anche sul fronte politico, con i repubblicani che intravedono il rischio di un effetto boomerang dei dazi sull’esito delle elezioni di metà mandato, a novembre. Anche perché, a 50 giorni dal voto che rinnoverà il Congresso Usa, i sondaggi mostrano chiaramente come i democratici siano sulla buona strada per riconquistare la Camera dei rappresentanti e vedano aumentare le chance di una ripresa anche del Senato. Per Trump sarebbe un uno-due micidiale, un colpo terribile anche in vista delle elezioni presidenziali del 2020, già minacciate dagli sviluppi della vicenda del Russiagate. Per questo, Trump avrebbe deciso sì di andare avanti con l’offensiva contro Pechino, ma limitando per ora la nuova stretta a dazi del 10% contro le tariffe del 25% ipotizzate originariamente. Questo col duplice obiettivo di lasciarsi ancora margini di manovra al tavolo dei negoziati, ma anche per evitare un aumento dei prezzi che comprometta la stagione degli acquisti in vista delle elezioni e delle festività di fine anno. La linea della Casa Bianca comunque resta sempre la stessa, quella voluta dal presidente che, almeno nei propositi, non intende arretrare di un millimetro nella sua offensiva contro il Made in China: “Non c’è ancora alcun segnale che indichi che i dazi stiano costituendo un problema per l’economia”, ha affermato Kudlow, auspicando comunque che Pechino si sieda finalmente al tavolo negoziale per un “dialogo serio”.