Il cafonismo al tempo della libertà totale
Il nostro tempo ha introdotto, come ogni giorno ci è dato vedere, con sempre minima sorpresa, due... “valori” (disvalori) fin qui inattesi: l’ignoranza, di cui certo tornerò a parlare, e il cafonismo, pervenuto anche ai vertici magistrali di super cafonismo. Ce ne accorgiamo tutti i giorni: spazio dall’alto al basso con efficacia pervasiva e impavida. Partendo dall’alto (alto?) possiamo osservarlo nelle mirabili gesta di molti politici, che non perdono occasione di farsi fare dei selfie anche in circostanze e momenti che imporrebbero ben altro comportamento. E gli stessi politici, spesso divenuti comici della tivù, danno vita a dibattiti dove la dialettica è ridotta all’insulto reciproco. Un tempo assistevo a confronti in cui il disaccordo era espresso da frasi del tipo: “Non la penso come lei, ma terrò conto del suo parere”. Oggi questa elegante manfrina è rimpiazzata dalla sintesi di una parolaccia o circa. D’altra parte il turpiloquio è stato da tempo sdoganato, al punto che le più delicate ragazzine si esprimono con la raffinatezza di un portuale di primo Novecento. Tutto questo dipende da un’idea primitiva secondo cui la libertà sarebbe una sorta di “faccio quel che mi pare”, mescolata a tendenze pseudo educative del secolo scorso, quando i genitori lasciavano “libertà” quasi totale ai loro figlioletti per non renderli individui repressi. Del resto il villanismo non riguarda certo solo i giovani. Sempre più spesso vedo signore di mezza età leggere il giornale al bar semi sdraiate, oppure in treno mettere i piedi sul sedile di fronte. Per non dire di quei gentiluomini che ovunque urlano al telefono. L’urlo, in effetti, è tipico del villanismo post umano. Probabile effetto di ore in discoteca o passeggiate con cuffie.