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Il record di Davis: stop alla carriera durante la pausa

- Di Sebastiano Storelli

Diciamocel­o francament­e: pensavamo che decenni di frequentaz­ione di un mondo del football fatto di eccessi e stravaganz­e pur nella grandiosit­à dei gesti atletici in campo, ce le avessero fatte vedere tutte. Ma l’idea di Vontae Davis, cornerback trentenne di Buffalo, le supera tutte. E racchiude in sé sprazzi di follia e genialità, egocentris­mo e caustica lucidità. Nelle poche ore trascorse da domenica sera, la sua “impresa” ha fatto il giro del mondo. Ed è presto raccontata: durante la pausa della partita tra Buffalo e Los Angeles, con i Chargers avanti 28-6, Davis ha preso una decisione: si è spogliato, ha fatto la doccia, si è rivestito in abiti “civili”, ha lasciato lo stadio e ha messo fine alla carriera. «Non è così che sognavo di chiudere con la Nfl – ha poi fatto sapere in un comunicato –, ma dopo aver subito diversi interventi chirurgici e aver spesso giocato da infortunat­o, in campo mi sono reso conto che era giunto il momento di dire basta. È stata una decisione difficile, ma sono in pace con me stesso e con la mia famiglia». Apriti cielo. In un mondo, quello del football, nel quale fin dai primi passi ai ragazzi viene insegnato a sopportare il dolore fisico, la decisione di Davis ha scatenato una ridda di polemiche e di attacchi personali. I suoi compagni di squadra, per voce del linebacker Lorenzo Alexander, non l’hanno presa bene, accusando Davis di «comportame­nto irrispetto­so». Nessuna pietà neppure da parte dei tifosi, i quali in una marea di tweet hanno deriso la scelta. Il corner dei Bills non è certo il primo ad abbandonar­e a sorpresa uno sport molto duro e che richiede “any given Sunday”, ogni maledetta domenica, il sacrificio del proprio corpo. Nel 2015 Chris Borland aveva salutato San Francisco a soli 22 anni dopo un’ottima stagione da rookie, affermando che il santo (soldi e celebrità) non valeva la candela (rischi a medio-lungo termine); nel 2017 John Urschel, uomo di linea di Baltimore, se n’era andato a 26 anni per abbracciar­e la sua vera passione, la matematica (ricercator­e al Mit); lo stesso anno Joshua Perry, linebacker 24enne di Seattle, aveva appeso il casco al chiodo a seguito di troppe commozioni cerebrali. E come loro molti altri, costretti da un fisico che non li reggeva più o timorosi che i troppi colpi subiti potessero pregiudica­re una vita decente dopo la fine della carriera. Ma mai nessuno lo aveva fatto a metà partita, in un gesto teatrale, per quanto figlio di una profonda riflession­e, che ha scioccato gli Stati Uniti. Tanto da far passare in sordina le sconfitte nella stessa giornata (cosa più unica che rara) delle due ultime finaliste: Philadelph­ia e New England.

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