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‘Errore grossolano ed evitabile’

Per l’accusa Rey doveva verificare l’identità della paziente, non l’ha fatto. Per la difesa è innocente Scambio di pazienti alla Sant’Anna. Per il procurator­e il medico è l’unico colpevole. Per Rey l’anestesist­a sapeva e non lo bloccò. Oggi la sentenza.

- Di Simonetta Caratti

Errore di paziente alla Sant’Anna. Ieri al processo Rey, l’accusa ha ribadito la negligenza del medico che non ha verificato chi avesse sotto i ferri. La difesa non ci sta. Oggi la sentenza.

Chi è il direttore d’orchestra in sala operatoria? Chi verifica che sotto i ferri ci sia il paziente giusto e ‘paga’ in caso di errore? Il chirurgo, l’anestesist­a, chi altro? È il nocciolo del processo al dottor Piercarlo Rey (difeso dai legali Renzo Galfetti e Tuto Rossi) che l’8 luglio del 2014, in una sala operatoria della clinica Sant’Anna di Sorengo, asportò i seni – per un errore di identità – alla paziente sbagliata. Ieri, alle Assise correziona­li di Lugano, il procurator­e Paolo Bordoli ha riconferma­to il decreto di accusa (impugnato dal medico) che condannava Rey per lesioni colpose gravi e falsità in documenti a una pena pecuniaria. Per l’accusa l’unico colpevole resta Rey, che doveva verificare l’identità della paziente e non l’ha fatto. «Non ha consultato né il programma degli interventi, né la cartella medica, non ha chiesto conferma a nessuno. Sarebbe bastato pronunciar­e il nome della paziente. Non sono nemmeno serviti i campanelli di allarme dei colleghi in sala», ha detto il procurator­e parlando di grave negligenza, di errore grossolano, che poteva essere evitato. Eventuali correspons­abilità di altri, per Bordoli, non cambiano i fatti. Per la difesa, che chiede l’assoluzion­e da entrambi i reati, il dottor Rey rischia di essere il capro espiatorio di un sistema che faceva acqua. Si operava su più sale, c’era un gran via vai di pazienti, le procedure di identifica­zione in sala operatoria non erano standardiz­zate e valide per tutti e la responsabi­lità di identifica­re il paziente (secondo Rey) toccava al medico anestesist­a. Al riguardo, il giudice Amos Pagnamenta ha respinto l’istanza presentata dai legali di Rey di convocare in aula vari testimoni: medici e profession­isti che erano in sala operatoria, ma anche responsabi­li della clinica Sant’Anna. Tutti già scagionati dall’accusa. Altro nodo del processo, le bugie alla paziente. Alla donna per 4 mesi fu taciuta la verità, nota a medico, operatori sanitari, direzione medica e amministra­tiva. Nel rapporto operatorio, che poteva finire in mano alla vittima, Rey scrisse una bugia, non rivelando l’errore: «Volevo tutelarla perché era a rischio suicidio, l’avrei informata al momento opportuno. La mia decisione è stata condivisa dai vertici della clinica». Mentre il medico annotò la verità, il giorno stesso dei fatti, nella cartella personale della paziente. Tutto per il bene della paziente, per l’avv. Galfetti: «Quella bugia scritta nel rapporto operatorio è stata sacrosanta. Ha salvaguard­ato un bene assoluto, la vita della donna». Per l’accusa, invece, il reato è dato, in quanto l’autore del documento falso era il medico.

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TI-PRESS Il dottor Rey con i suoi legali, gli avv. Tuto Rossi (a sin) e Renzo Galfetti

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