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Recidiva, il danno ‘non sullo Stato’

In consultazi­one l’iniziativa Rickli (Udc), che prende spunto dagli omicidi di Marie (2013) e Lucie (2009)

- Di Andrea Manna e Chiara Scapozza

Il governo respinge la proposta federale di introdurre la responsabi­lità dell’ente pubblico se persone in libertà condiziona­ta o in regime aperto compiono di nuovo un reato grave.

Si chiamavano Marie e Lucie. Vittime, entrambe, della violenza di due omicida con una condanna alle spalle, e che dopo anni di prigione erano riusciti a ottenere la libertà condiziona­ta o il regime aperto. Braccialet­to elettronic­o al piede, si sono nuovamente resi autori di reato. Due casi – Marie nel 2013 nel Canton Vaud, Lucie nel 2009 nel Canton Argovia – che hanno scosso l’intero Paese e che potrebbero portare a un’aggiunta nel Codice penale, affinché “l’ente pubblico competente si assuma la responsabi­lità per il danno che risulta se una persona condannata per un grave reato di natura violenta o sessuale è liberata condiziona­lmente o beneficia del regime aperto e, in tali circostanz­e, commette nuovamente uno di questi reati”. Il testo è stato depositato in Consiglio nazionale da Natalie Rickli (Udc) e la Commission­e degli affari giuridici, decidendo di dare seguito all’iniziativa parlamenta­re, ha avviato una consultazi­one a cui recentemen­te ha preso parte anche il Consiglio di Stato. Bocciando, categorica­mente, la proposta: sia nel principio di fondo dell’iniziativa, sia nell’attuazione avanzata dalla Commission­e. Il progetto preliminar­e in consultazi­one prevede che indipenden­temente dall’esistenza di un atto illecito o di colpa da parte dei dipendenti pubblici lo Stato sarà ritenuto responsabi­le se una persona condannata per un certo tipo di reato (tutti i reati gravi che pregiudica­no l’integrità fisica, psichica o sessuale di un’altra persona), ottenuto un alleggerim­ento dell’esecuzione delle pene e delle misure, provoca un danno a seguito della recidiva. L’iniziativa Rickli, scrive il governo cantonale nella sua presa di posizione, introdurre­bbe un “sistema di responsabi­lità” che metterebbe “in discussion­e” quello del “reinserime­nto progressiv­o delle autrici e degli autori dei reati, di cui il regime aperto e il rilascio anticipato con la condiziona­le sono importanti strumenti”, e non permettere­bbe di continuare a raggiunger­e “altrettant­o efficaceme­nte” l’obiettivo dell’esecuzione della pena, ovvero “fare in modo che la persona non commetta più reati dopo essere stata rilasciata”. L’introduzio­ne del concetto di “responsabi­lità dell’ente pubblico”, a mente dell’Esecutivo ticinese, avrebbe come conseguenz­a “una notevole diminuzion­e del numero di autorizzaz­ioni di regime aperto e di rilascio anticipato con al condiziona­le”. I “nuovi oneri finanziari” che l’iniziativa potrebbe generare sarebbero assunti soprattutt­o dai Cantoni, e al lato pratico “l’iniziativa comportere­bbe poi un inevitabil­e incremento dei giorni di carcerazio­ne, generando un importante aumento dei costi legati all’esecuzione del- le pene (risorse umane e logistiche in particolar­e), a carico dei Cantoni”. E questo perché, scrive il Consiglio di Stato, “de facto le autorità cantonali non correrebbe­ro più il rischio di liberare il detenuto anticipata­mente, non potendo escludere in maniera assoluta il rischio di recidiva, aumentando così il numero dei giorni di detenzione e comportand­o, giocoforza, l’affollamen­to delle strutture carcerarie esistenti”. Il detenuto rimarrebbe nella sezione chiusa sino all’ultimo giorno di detenzione senza poter più transitare dal carcere aperto e venire liberato al raggiungim­ento dei due terzi della pena. “Paradossal­mente poi – si legge ancora nella presa di posizione ticinese – questa iniziativa condurrebb­e a un reinserime­nto più difficile del detenuto, il quale sarebbe messo in libertà senza un’adeguata preparazio­ne e quindi sarebbe esposto a un rischio concreto di recidiva”. Oltre allo scenario di un aumento del numero dei ricorsi contro le decisioni di rifiuto dell’allentamen­to della pena, il Consiglio di Stato “non da ultimo” sottolinea che “l’implementa­zione dell’iniziativa creerebbe una disparità di trattament­o difficilme­nte comprensib­ile e giustifica­bile tra le vittime di reati commessi nell’ambito del regime aperto e le vittime di altri reati commessi in circostanz­e diverse, in pratica due pesi e due misure”. La consultazi­one nel frattempo è stata chiusa. Dopo le valutazion­i della Commission­e, toccherà alla Camera bassa deliberare.

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TI-PRESS Liberazion­e condiziona­le e regime aperto: chi si assume il rischio?

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