Una Presenza a Sud
Domenica a Mendrisio la comunità festeggia il trentacinquesimo anniversario dalla fondazione
Nei ricordi di don Gianfranco Quadranti gli anni di questa esperienza nata da una domanda: chiesa tradizionale o punto di incontro?
In un passaggio dell’enciclica ‘Deus caritas est’, scritta dal Papa emerito Benedetto XVI, è sottolineato come l’unione con Cristo “è allo stesso tempo unione con tutti gli altri… Io non posso avere un Cristo solo per me…”. Penso a questo mentre vado a incontrare don Gianfranco Quadranti nella chiesa di Presenza Sud a Mendrisio, dove questa domenica ricorre il trentacinquesimo dalla fondazione. Nelle omelie e negli incontri da lui tenuti, torna una parola che mette in rilievo l’urgenza del condividere, essere comunità. Per la sua struttura ricettiva, Presenza Sud oltre alla cappella del culto ha aperto alla società ospitando conferenze, seminari, concerti. Quando e perché, nasce Presenza Sud? «Tra gli anni 50 e 60 la zona sud di Mendrisio vicino all’Osc era praticamente terreno agricolo; poi, le prime costruzioni. L’arciprete di allora si è posto la domanda se fosse il caso di proporre un messaggio cristiano. Passano una decina di anni e quando come arciprete arriva monsignor Franco Biffi, cerca di concretizzare questa intenzione». In che modo? «Con un piccolo sondaggio. Voi a sud di Mendrisio vorreste una chiesa tradizionale o un punto d’incontro fra la gente? Viene scelta quest’ultima proposta, insieme a una cappella per la celebrazione dell’eucarestia». Un primo passo. «Con don Vittorino Piffaretti, l’architetto Edy Radaelli e il fratello Andrea inizia il percorso, sostenuto dalla Parrocchia. Com’è sempre stato». L’inaugurazione? «Il ventitré settembre del 1983, con la consacrazione dell’altare da parte del vescovo monsignor Ernesto Togni». Il cammino è avviato. «È don Claudio Laim ad avviarlo, a cui subentro nel settembre dell’87, giorno ventitré». Le tue prime esperienze? «A Origlio e Ponte Capriasca. Dal ’65 al ’79 a Vacallo. Chiedo poi a monsignor Togni l’anno sabbatico perché ero molto impegnato nella scuola. Dalle elementari alla media: il vecchio ginnasio a Morbio. Il liceo. Impegno che non consentiva di tenere una Parrocchia». Come arrivi qui? «Un giorno mi chiama il vescovo Corecco. Dice: vai a Presenza Sud a sostituire don Claudio. E là resti». L’orientamento seguito? «Ho portato avanti la bella linea iniziata da don Claudio con una comunità di persone che vivevano lo stare insieme. In greco, Parrocchia è ‘paroikia’ che vuol dire essere comunità. È il senso profondo della nostra testimonianza e che ha visto le suore di Menzingen qui, fin dall’inizio. Vero e proprio perno spirituale per il contatto con le persone: c’era anche un ambulatorio, chiuso in seguito per la creazione del servizio di cure mediche a domicilio». Intanto, cambiava la società. «La comunità sentiva l’esperienza della condivisione e non è solo questione di numeri. Oggi prevale l’individualismo. Noto una dispersione: le persone desiderano stare insieme ma non c’è più l’unione di cuore e mente. Siamo chiusi».
I social e la pagliuzza
Nel commentare oggi il Vangelo di Luca, hai usato un termine forte. Invece della correzione fraterna, le persone si ‘sputano addosso’, riferito in particolare ai social. «È vero. Succede un fatto e nei social passa velocemente. A volte si giudica perfino prima della legge. Ogni persona va rispettata qualsiasi sia la sua storia; si vedono le pagliuzze negli occhi degli altri, non la trave nei nostri». Cosa hai dato e ricevuto dalla comunità? «Quello che ho ricevuto e tutt’ora ricevo è sentire che la gente mi vuol bene; che ha misericordia di me. Anch’io mi sento peccatore. Per me, ancor prima dell’essere cristiano conta il rispetto per ogni persona; la sua dignità. Ho ricevuto anche delle offese, dure, ma non porto mai rancore». Spesso, parli del rischio di un’eccessiva ritualità. «Il problema che sento è non essere solo un esecutore delle indicazioni rituali. Toni di voce e vestiti sgargianti. Nella ritualità dobbiamo far passare Gesù Cristo: se pensiamo all’Ultima Cena, Lui si spoglia delle vesti, si mette a servizio degli altri». E il sud del mondo? «Nel ’78 sono andato in Thailandia per sostenere un progetto relativo a un lebbrosario. Questo mi ha aperto completamente il modo di vedere il mondo». Sei molto critico verso la globalizzazione. «Quella dell’ingiustizia, come dice Papa Francesco. Da cristiano penso alla bellezza del creato nelle nostre diversità e nel rispetto delle fedi». Domenica, un po’ di emozione? «Se guardo i miei ottantadue anni non posso che benedire Gesù Cristo. Fin che vivo cerco sempre qualcosa che mi faccia crescere in umanità».