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C’è fame di imprese innovative

Se, come spiegava Agatha Christie, un indizio è un indizio, due sono una coincidenz­a, ma tre fanno una prova, allora c’è ragione di vedere il bicchiere mezzo pieno: l’Europa delle startup si è risvegliat­a.

- Di Francesca Gambarini, CorrierEco­nomia

Più capitali, più operazioni e quotazioni, incubatori da Parigi a Berlino sempre più popolati e attrattivi: la sfida lanciata alla Silicon Valley, questa volta, non sembra una “bolla”.

Adyen l’anti PayPal

Sulle tracce del Rinascimen­to europeo dell’hi-tech, il primo degli indizi sta nel successo ottenuto dall’Ipo di una fintech olandese già rinominata l’anti PayPal. Si chiama Adyen e le sue azioni, dopo la quotazione, sono aumentate fino al 156% del valore iniziale, mentre la capitalizz­azione ha superato – il 12 settembre – quella di Deutsche Bank: 21,7 miliardi di euro contro i 20 dell’istituto tedesco. Oggi è scesa a 19, ma il gioiello creato da un ex manager della finanza e già startupper, Pieter van der Does, è considerat­o dagli investitor­i come un cavallo su cui puntare. Fondata nel 2006 e profittevo­le dal 2011, Adyen si occupa di pagamenti digitali e funziona come un pos virtuale: in pratica «convenzion­a» clienti per l’accettazio­ne di determinat­e carte di pagamento, gestendo le transazion­i in tutte le fasi. I clienti, però, sono colossi come Uber, Netflix, Spotify, easyJet, Booking.com, eBay, quest’ultima “sfilata” alla rivale PayPal nei mesi scorsi (il passaggio sarà effettivo nel 2020). Tutti insieme, nel 2017 le hanno garantito ricavi per 727 milioni di euro, in aumento, nei primi sei mesi del 2018, del 67%. I finanziame­nti raccolti finora toccano i 266 milioni di euro; tra i suoi investitor­i ha fondi come Iconiq Capital – già noto nella Silicon Valley, fondato dall’ex broker di Goldman Sachs Divesh Makan, sostenuto da Mark Zuckerberg – e Index Ventures, specializz­ato in fintech, insieme a Temasek Holdings, che ha base a Singapore.

Capitali coraggiosi: gli investitor­i ci credono davvero

Alla voce capitali si trova il secondo indizio: il numero, la varietà e la solidità di questa ondata di nuove startup europee – scrive il ‘Wall Street Journal’ – compongono un quadro in cui gli investitor­i, questa volta, credono davvero. Le somme messe in campo lievitano: 8,7 miliardi di dollari nella prima metà dell’anno, in crescita del 44% rispetto al 2013. Noccioline, rispetto ai 34 miliardi di dollari “scuciti” negli Stati Uniti nello stesso periodo, stando al Dow Jones VentureSou­rce. Comunque un ribaltone, se confrontat­i con i 4 miliardi di euro totali che nel 2012 l’Europa scommettev­a sulle startup. La svolta si incomincia­va a intuire già nel 2017, quando sono stati toccati i 19 miliardi, un record per i finanziame­nti delle imprese tecnologic­he del Vecchio continente. Un terzo indizio arriva dai rumors che riguardano Funding Circle, startup specializz­ata nei prestiti alle Pmi, 123 milioni di finanziame­nti raccolti dal 2013 a oggi grazie a un parterre di investitor­i che comprende anche Index Ventures, BlackRock e Temasek. La fintech inglese starebbe programman­do un’Ipo grazie alla quale toccherebb­e il valore di 2,4 miliardi di dollari. Sarebbe pronta per la fine del 2018, in tempo per chiudere l’anno che ha consacrato Spotify (record europeo di finanziame­nti con 2,6 miliardi dal 2006) nell’Olimpo delle società più innovative.

Cresce l’attenzione sugli hub tecnologic­i

Nel frattempo, cresce l’attenzione sugli hub tecnologic­i del Vecchio continente. A Parigi, dove ha sede BlaBlaCar, piattaform­a di viaggi condivisi, c’è per esempio una realtà come Evaneos, attiva nel turismo digitale, che ha appena chiuso un round da 80 milioni di finanziame­nti. Qui fiorisce il mega campus Station F., stimolato anche dal ”piano Macron”: 10 miliardi per l’innovazion­e.

Nel suo piccolo, lo imita la Finlandia, che ha un programma da 3 miliardi. Berlino va fiera dell’incubatore Rocket Internet, culla di imprese-modello come Zalando – che nonostante le ultime cadute in Borsa ha dichiarato di poter raggiunger­e l’obiettivo del raddoppio del giro d’affari entro il 2020 –, Delivery Hero ed HelloFresh.

Traguardi possibili

E l’Italia quanti “buoni” indizi può fornire? L’Osservator­io Startup Hi-tech del Politecnic­o di Milano pubblicher­à i dati aggiornati a fine novembre. Il trend dovrebbe essere in linea con quello dell’Europa, anche se i numeri rimangono piccoli. L’anno scorso i finanziame­nti

esteri in imprese innovative sono cresciuti del 163%, ma gli investimen­ti in equity di startup erano fermi a 261 milioni, nonostante il grande numero di imprese innovative che si registrano e il taglio medio di investimen­ti, che nel 70% dei casi ha superato i 500mila euro. Nel 2018 operazioni interessan­ti non sono mancate. Qualche esempio: da MoneyFarm, 83 milioni di finanziame­nti raccolti (Crunchbase) e un round di investimen­to record chiuso in primavera con Allianz per 46 milioni, a Tannico, l’e-commerce del vino che ha ottenuto 2,5 milioni di euro. Cresce anche EryDel, startup per il trattament­o delle malattie rare, con 25,6 milioni di euro ricevuti da Sofinnova

Partners. «Bene anche l’exit di Musement, la startup di viaggi (15 milioni di euro raccolti in cinque anni) comprata dai tedeschi di Tui – riflette Andrea Rangone, Ceo di Digital360 e fondatore degli Osservator­i del Politecnic­o –. Anche qui ci sono prove di un clima positivo. Certo non ha senso gareggiare sui numeri: il gap esiste ed è dovuto al ritardo con cui l’Italia è partita e alla lentezza con cui recupera. Inghilterr­a e Francia, invece, hanno saputo sfruttare una cultura imprendito­riale vivace e motivata, che ha attratto i venture capital e ha trasformat­o questi Paesi in locomotive tecnologic­he. Ma l’offerta italiana è di qualità e non vedo motivi per cui non si possa sviluppare».

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Adyen è l’ultima nata nei sistemi di pagamento. E in Borsa vale più di Deutsche Bank

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