La cultura che cambia
L’anno scorso la fondazione per la cultura ha sostenuto 1’500 progetti in Svizzera. Nel rispetto delle particolarità di ogni regione e con particolare attenzione verso le nuove discipline, ha spiegato Bischof, entrato in carica lo scorso ottobre. Incontr
«Da Zurigo qualche volta siamo molto lontani dal Ticino, ma per noi è importante essere in contatto con voi». Così venerdì pomeriggio l’addetta alla comunicazione Sabina Schwarzenbach ha accolto i giornalisti all’incontro con il direttore di Pro Helvetia Philippe Bischof. Un incontro informale, a tratti quasi una chiacchierata, organizzato – approfittando di una trasferta a sud delle Alpi per un convegno – appunto per “accorciare le distanze”, per presentare l’attività della fondazione, senza novità o progetti particolari da annunciare. Già, che cosa fa di preciso Pro Helvetia, il cui nome ogni tanto campeggia sui manifesti di alcuni eventi culturali, come mostre o spettacoli teatrali? «Ci sono due direzioni fondamentali» ha spiegato Bischof; da una parte abbiamo «la promozione della diversità culturale in Svizzera», dall’altra «lo scambio culturale con l’estero». La parola chiave, su entrambi i fronti, è “diversità”: «Quello che facciamo è trovare, in ogni regione, delle potenzialità da cui partire e ovviamente sappiamo che le regioni, in Svizzera, sono molto diverse tra di loro: Pro Helvetia non è per nulla una fondazione con criteri stretti e formalizzati, ma cerca di rispettare la diversità adattando i criteri».
In Ticino ‘è complicato’
Che cosa significa in concreto? Una prima risposta viene dal rapporto annuale 2017: la Svizzera italiana, pur avendo il 4,4% della popolazione, riceve l’8% dei fondi destinati ai progetti in Svizzera. Ma Bischof ci tiene ad aggiungere, quasi a livello personale, che «quando parlo con amici e colleghi del Ticino, del fare cultura in Ticino, mi dicono “è complicato”». È complicato perché «molto si gioca a livello internazionale» ed è quindi prioritario «costruire ponti»; senza dimenticare la presenza di alcuni attori culturali molto forti – pensiamo al Locarno Festival
e al Lac – «con il rischio di schiacciare tutto il resto». Pro Helvetia si inserisce in tutto questo puntando non solo sulla diversità – «perché la cultura è sempre un miscuglio» – ma anche sull’innovazione. Il che, tra l’altro, significa, riconoscere «che le discipline cambiano». Non a caso all’incontro con la stampa era presente anche Rafael Kouto, giovane stilista – o megli ‘textile designer’ – di Losone sostenuto da Pro Helvetia nel suo progetto di realizzazione di capi di moda a partire da materiali di recupero. Se a questo aggiungiamo che, negli ultimi anni, Pro Helvetia ha sostenuto lo sviluppo e la promozione di videogiochi, si capisce come la fondazione si tenga aperta a nuove forme culturali. «Il che non significa affatto che letteratura, danza, teatro eccetera non siano più importanti: semplicemente, ci sono nuovi campi che hanno tutt’altra origine culturale e trovo molto importante riunire. Se c’è la qualità, ovviamente». In futuro? Philippe Bischof pensa, ma non è che un esempio, all’impatto della realtà virtuale e della realtà aumentata: «Dove sarà il teatro tra cinque anni?». E poi ancora i social network come Instagram «di cui sono un appassionato: tra qualche anno potremmo avere dei musei su Instagram, invitando le persone a partecipare». Pro Helvetia ha la responsabilità «di seguire questi sviluppi, di osservare quello che accade, e anche provocare il sistema per avere delle reazioni». Uno sguardo al futuro che pone delle sfide per i criteri di valutazione. Pro Helvetia è sempre più sollecitata – per la musica, ad esempio, ogni anno le domande crescono del 25 per cento –, come affrontare settori nuovi per i quali non c’è una tradizione consolidata? «Ci rivolgiamo sempre a degli esperti; se per la musica classica sappiamo a chi rivolgerci, per nuovi settori occorre fare delle ricerche, costruire delle reti, sviluppare delle competenze. Il che spesso ci porta all’estero, ed è molto importante: pensiamo ai videogiochi, un gioco pensato solo per la Svizzera è niente, per cui nelle giurie servono persone con uno sguardo internazionale».