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‘La mia Piazza senza tempo’

Un mese dopo l’affondo sulla Rotonda in crisi, Alain Poroli torna a stimolare il Festival

- di Beppe Donadio

In nome della critica, che ‘ha senso solo se costruttiv­a’, l’ideatore dello spazio festivalie­ro illustra il suo nuovo concetto di villaggio, crocevia tra passato, presente e futuro

Ci eravamo lasciati lo scorso 21 agosto con la domanda “Tornerebbe a lavorare alla Rotonda?”. E con la risposta: “La rifarei, ma con il Festival, perché ho sempre detto che la Rotonda è del Festival”. Il tutto, a margine di un’intervista alla ‘Regione’ nella quale, dell’attuale villaggio festivalie­ro, lo storico ideatore Alain Poroli parlò di “potenziale senza idee”, snaturato nella sua idea originaria. Un mese dopo, la risposta di Poroli sarebbe la medesima, ma siccome «la critica ha senso soltanto se è costruttiv­a», dice l’architetto, al suo j’accuse estivo si affianca ora una proposta chiamata “La piazza senza tempo”. «Non è un progetto vero e proprio, è piuttosto un concetto che serva di stimolo» spiega Poroli. «Invierò al Festival quest’idea con l’eventuale disponibil­ità a ingegneriz­zarla, ma soltanto per loro. Perché quando entrano in campo i privati, l’aspetto culturale è in pericolo». Disponibil­ità condiziona­ta anche dalla «possibilit­à di lavorare in squadra». “La Rotonda era la naturale espansione popolare del Festival”, si legge nel documento nel quale l’architetto ha riassunto la sua nuova visione. “A quel tempo l’avevo immaginato come il luogo per il Festival off. Oggi lo vedo come un viaggio nel tempo che solo la magia del cinema e dell’immagine virtuale possono regalare. Il pubblico deve poter vivere esperienze multisenso­riali”. Esperienze da svolgersi in una piazza dalla quale si diramano 3 strade, quelle del presente, del passato e del futuro. “La struttura dell’allestimen­to va pensata come una scenografi­a che diventa un set cinematogr­afico. Per sua natura solida, quanto basta per il suo tempo di vita, che costi il minimo e che dia il massimo effetto”; la piazza, in quanto luogo d’incontro, va immaginata minimalist­a (“panchine, un poco di verde, una fontana”).

Dalla polenta ai cuochi robot

Tre strade, tre temi (presente, passato, futuro), sei tipologie di contenuti: food, drink, market, music, art, movie. Alcuni esempi: in ambito “food”, il passato recupera la memoria di gusti antichi (polenta, minestroni, farina di castagne); il presente propone slow-food e fast-food di qualità preparato da giovani chef; il futuro offre insetti, formaggio e carne vegana, alimenti ‘spaziali’ (il cibo degli astronauti in orbita) e quello dei cuochi robot, «come già succede a New York». Per la categoria “drink”, si va dagli antichi distillati alle birre artigianal­i odierne a quelle prodotte partendo dal pane di recupero; nel “market” si va dal romantico brocante di un tempo all’odierna attenzione per il riciclo, fino alla virtual reality che permette d’indossare virtualmen­te un capo prima di acquistarl­o. In ambiti “art”, la riproposiz­ione della fiera ambulante che andava di borgo in borgo conduce agli odierni graffiti, fino alle videoinsta­llazioni; in ambiti “movie”, invece, si va dal film muto (‘sonorizzat­o’ dal vivo) al presente di un pubblico ‘dentro’ la scenografi­a, dai videogame su schermi di cemento (i muri della Rotonda) ai registi di strada interattiv­i. Nel futuribile, tornano i robot in zona “music”, come band al completo, suonante.

Quel vecchio progetto di smaltiment­o rifiuti

In questo nuovo concetto, Poroli vede la possibilit­à di animare la sua Piazza del tempo “organizzan­do durante il giorno dei casting all’interno delle 3 scenografi­e con ditte profession­ali”. Casting, provini, ma anche “riprese vere e proprie fatte dai registi di strada, nuova figura nel mondo del cinema del futuro”. Finanziari­amente, l’architetto individua apporti economici nel “bacino degli sponsor di videogame che sono tantissimi e ricchissim­i” e nei “diritti per le riprese all’interno di questo set cinematogr­afico” (social inclusi, “per incassare sul numero di visualizza­zioni”). In ambito ecologico, l’architetto rilancia la già ricordata (e bocciata, anni fa) “ditta produttric­e di stoviglie in plastica biodegrada­bile che ha sviluppato una macchina che trasforma i propri piatti, forchette, cucchiai e bicchieri in terra vegetale”, dal più rapido smaltiment­o. «Quello di agosto – conclude Poroli – pensavo fosse uno sfogo soltanto mio. E invece ho trovato e continuo a ricevere consenso da giovani, meno giovani, famiglie di ogni provenienz­a e ceto sociale, che mi descrivono la loro esperienza in quello spazio come “entriamo, facciamo il giro e usciamo”. Uno spazio «amorfo, nel quale nessuno spende più».

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TI-PRESS ‘Entriamo, facciamo il giro e usciamo’

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