laRegione

Ma Theresa May non è Thatcher

- Di Aldo Sofia

Indignata, si dice la Gran Bretagna che tifa ancora Brexit, e lo è anche quella meno convinta dei suoi fantastica­ti benefici. I “gangster europei”, li definisce il triviale ‘Sun’. Ma anche il ‘Times’, un tempo esempio di ‘quality paper’, parla di Europa irrispetto­sa nei confronti di Londra. Lo stesso tono con cui, in un discorso alla nazione volutament­e drammatizz­ato, Theresa May ha denunciato il rifiuto Ue di accettare il cosiddetto “piano Chequers”, in sostanza le proposte del governo inglese per un divorzio “morbido” dall’Unione. Ma qual è la sostanza del contrasto? A parte l’irrisolta questione del confine fra le due Irlande (il ritorno alla sua chiusura rischiereb­be di mandare all’aria gli accordi del “venerdì santo” 1998, che chiusero lunghi anni di violenza nell’Ulster), la questione di fondo sta nell’ambiguità del Regno Unito. Che è disposto a rimanere nel mercato unico europeo per gli scambi commercial­i, ma non per i servizi, in particolar­e quelli finanziari, che rappresent­ano invece il punto forte dell’economia britannica. Londra conservere­bbe dunque un chiaro vantaggio competitiv­o. Bruxelles calcola che accettare così il mantenimen­to della Gran Bretagna nel mercato unico, costerebbe all’Ue almeno l’8 per cento di Pil (una cascata di miliardi) nei prossimi quindici anni. Questo spiega perché una Comunità divisa su tutto, persino su come garantirsi la... sopravvive­nza, si sia mostrata eccezional­mente unita nell’affossare il piano britannico. Una compattezz­a che sembra aver sorpreso la signora May, e in generale una Gran Bretagna che dal momento della sua adesione aveva sempre ottenuto molto da Bruxelles, in particolar­e ai tempi della Thatcher (“We want our money back”), e che fu assai incisiva nel battersi in favore delle regole finanziari­e e fiscali correspons­abili dell’odierna crisi dell’Europa. Oggi lo scivolone della sterlina ma soprattutt­o il forte esodo di molti istituti bancari dalla City (Ubs compresa) e di importanti industrie internazio­nali (come Airbus, con i suoi oltre centomila posti di lavoro fra dipendenti diretti e indotto) fanno capire a un numero crescente di inglesi quanto siano stati sottostima­ti i rapporti di forza con un blocco di 500 milioni di abitanti. Nessuno ha da guadagnare dalla Brexit. ma a perderci è soprattutt­o il Regno Unito. Persino il leader laburista Corbyn, un europeista assai tiepido, ha aperto alla possibilit­à di un secondo referendum, anche se preferireb­be passare da elezioni anticipate che potrebbero scorticare un partito conservato­re indebolito e lacerato dal caos provocato dal dossier europeo, su cui già cadde David Cameron. La seconda vittima potrebbe essere Theresa May. Che si era illusa di poter contare sulla comprensio­ne del francese Macron. Trasformat­osi invece nel più risoluto avversario della Brexit. “Dentro o fuori”, ha spesso ripetuto. Convinto, il capo dell’Eliseo, che il braccio di ferro con Londra debba rappresent­are anche un messaggio ai sovranisti mentre inizia la campagna per le temute elezioni europee. Sempre che, pensando anche al rinomato orgoglio inglese, non si riveli un boomerang.

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