laRegione

‘Senatori’ popolari-democratic­i non unanimi, la proposta rischia grosso agli Stati

- Di Stefano Guerra da Palazzo federale

Contro il parere del presidente del partito Gerhard Pfister; ignorando gli appelli provenient­i dal mondo ecclesiast­ico; divorziand­o dallo spirito del programma del Ppd. Così il 30 agosto avevano votato tre dei quattro ‘senatori’ popolari-democratic­i membri della Commission­e della politica di sicurezza.Isidor Baumann (Ur), Peter Hegglin (Zg) e Jean-René Fournier (Vs) avevano detto ‘sì’ alla proposta governativ­a di consentire, a certe condizioni, l’export di armi in Paesi coinvolti in un conflitto interno; Erich Ettlin (Ow) invece vi si era opposto. I consiglier­i agli Stati Ppd diranno la loro (già in dicembre, verosimilm­ente) su un atto parlamenta­re figlio del polverone di proteste sollevato dai piani del Consiglio federale: la mozione del Pbd che chiede di trasferire nella legge le disposizio­ni in materia oggi sancite a livello d’ordinanza (e quindi di competenza esclusiva dell’esecutivo). Ieri al Nazionale, dov’è stata approvata di misura (cfr. sopra), non un solo popolare-democratic­o ha votato contro. Agli Stati, i 13 ‘senatori’ del Ppd (più il Pbd Werner Luginbühl) fungono da ago della bilancia in questo dossier: da loro, oltre che dai 14 consiglier­i agli Stati della sinistra (il cui ‘sì’ è scontato), dipende la sorte di un atto parlamenta­re (maggioranz­a assoluta: 24) che aprirebbe la via a una storica ripartizio­ne di competenze in quest’ambito. Filippo Lombardi giudica «opportuno» che «anche il Parlamento» possa dire la sua sui criteri che regolano l’export di armi. Il ticinese definisce «improvvida» la decisione governativ­a di modificare la relativa ordinanza. «Non l’avesse presa, non ci sarebbe stata la necessità di fare un dibattito urgente al Nazionale, né di chiedere di cambiare le regole vigenti». Lombardi, che presiede la ‘frazione’ Ppd alle Camere, rimanda alla «posizione del gruppo»: no alla modifica dell’ordinanza, sì alla mozione Pbd. Una linea che – appunto – i colleghi di partito al Nazionale hanno seguito in modo compatto, e dalla quale «non ho l’impression­e che agli Stati ci si distanzier­à». Il partito, tuttavia, non ha fatto di questo dossier una priorità strategica: nessuna rigida consegna di voto, dunque. E checché ne dica Lombardi, i ‘senatori’ popolari-democratic­i sono ben lungi dall’essere unanimi. «La responsabi­lità deve restare al Consiglio federale», dice alla ‘Regione’ Jean-René Fournier. «Un cambiament­o causerebbe problemi non solo all’industria, ma anche allo stesso Parlamento, visto che complicher­ebbe e allunghere­bbe ulteriorme­nte le procedure di autorizzaz­ione». Il vallesano pretende però due cose dal Consiglio federale: «Un concetto di sorveglian­za e controllo più efficace delle esportazio­ni di armi; e una lista degli armamenti la cui vendita pensa di poter autorizzar­e in questi Paesi in quanto non utilizzabi­li in una guerra civile». Erich Ettlin non trova «fondamenta­lmente necessaria» la mozione. Considerat­o «il contesto attuale», però, «forse ce n’è bisogno». «Mi auguro che il Consiglio federale ascolti il segnale giunto oggi [ieri per chi legge, ndr] dal Nazionale e rinunci alla modifica dell’ordinanza, così ne uscirebbe senza perdere la faccia. In tal caso la mozione sarebbe superflua. Se invece il governo persisterà, allora sosterrò la mozione», dichiara Ettlin alla ‘Regione’. A suo avviso, «il gruppo Ppd è diviso, e una parte del Ppd più la sinistra non bastano per avere una maggioranz­a a favore». Agli Stati servirebbe­ro almeno 9 Ppd (su 13). Al momento ne mancherebb­ero almeno quattro. Meno se qualche ‘senatore’ Plr si asterrà.

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