‘Senatori’ popolari-democratici non unanimi, la proposta rischia grosso agli Stati
Contro il parere del presidente del partito Gerhard Pfister; ignorando gli appelli provenienti dal mondo ecclesiastico; divorziando dallo spirito del programma del Ppd. Così il 30 agosto avevano votato tre dei quattro ‘senatori’ popolari-democratici membri della Commissione della politica di sicurezza.Isidor Baumann (Ur), Peter Hegglin (Zg) e Jean-René Fournier (Vs) avevano detto ‘sì’ alla proposta governativa di consentire, a certe condizioni, l’export di armi in Paesi coinvolti in un conflitto interno; Erich Ettlin (Ow) invece vi si era opposto. I consiglieri agli Stati Ppd diranno la loro (già in dicembre, verosimilmente) su un atto parlamentare figlio del polverone di proteste sollevato dai piani del Consiglio federale: la mozione del Pbd che chiede di trasferire nella legge le disposizioni in materia oggi sancite a livello d’ordinanza (e quindi di competenza esclusiva dell’esecutivo). Ieri al Nazionale, dov’è stata approvata di misura (cfr. sopra), non un solo popolare-democratico ha votato contro. Agli Stati, i 13 ‘senatori’ del Ppd (più il Pbd Werner Luginbühl) fungono da ago della bilancia in questo dossier: da loro, oltre che dai 14 consiglieri agli Stati della sinistra (il cui ‘sì’ è scontato), dipende la sorte di un atto parlamentare (maggioranza assoluta: 24) che aprirebbe la via a una storica ripartizione di competenze in quest’ambito. Filippo Lombardi giudica «opportuno» che «anche il Parlamento» possa dire la sua sui criteri che regolano l’export di armi. Il ticinese definisce «improvvida» la decisione governativa di modificare la relativa ordinanza. «Non l’avesse presa, non ci sarebbe stata la necessità di fare un dibattito urgente al Nazionale, né di chiedere di cambiare le regole vigenti». Lombardi, che presiede la ‘frazione’ Ppd alle Camere, rimanda alla «posizione del gruppo»: no alla modifica dell’ordinanza, sì alla mozione Pbd. Una linea che – appunto – i colleghi di partito al Nazionale hanno seguito in modo compatto, e dalla quale «non ho l’impressione che agli Stati ci si distanzierà». Il partito, tuttavia, non ha fatto di questo dossier una priorità strategica: nessuna rigida consegna di voto, dunque. E checché ne dica Lombardi, i ‘senatori’ popolari-democratici sono ben lungi dall’essere unanimi. «La responsabilità deve restare al Consiglio federale», dice alla ‘Regione’ Jean-René Fournier. «Un cambiamento causerebbe problemi non solo all’industria, ma anche allo stesso Parlamento, visto che complicherebbe e allungherebbe ulteriormente le procedure di autorizzazione». Il vallesano pretende però due cose dal Consiglio federale: «Un concetto di sorveglianza e controllo più efficace delle esportazioni di armi; e una lista degli armamenti la cui vendita pensa di poter autorizzare in questi Paesi in quanto non utilizzabili in una guerra civile». Erich Ettlin non trova «fondamentalmente necessaria» la mozione. Considerato «il contesto attuale», però, «forse ce n’è bisogno». «Mi auguro che il Consiglio federale ascolti il segnale giunto oggi [ieri per chi legge, ndr] dal Nazionale e rinunci alla modifica dell’ordinanza, così ne uscirebbe senza perdere la faccia. In tal caso la mozione sarebbe superflua. Se invece il governo persisterà, allora sosterrò la mozione», dichiara Ettlin alla ‘Regione’. A suo avviso, «il gruppo Ppd è diviso, e una parte del Ppd più la sinistra non bastano per avere una maggioranza a favore». Agli Stati servirebbero almeno 9 Ppd (su 13). Al momento ne mancherebbero almeno quattro. Meno se qualche ‘senatore’ Plr si asterrà.