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Corbyn ignora Brexit ed esalta il Labour Merkel resta al coperto

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Londra – Fermare il governo Tory sul ciglio di una Brexit “no deal”, che sarebbe un disastro. Ma non impiccarsi alla Brexit: c’è molto altro a cui pensare. Jeremy Corbyn ha infiammato ieri il congresso del Labour rilanciand­o un programma di rottura con il “greed-is-good capitalism” (che giustifica l’avidità come una virtù, come si dice nel profetico ‘Wall Street’) e di correzione radicale della deregulati­on finanziari­a che dopo la devastante crisi di 10 anni fa l’establishm­ent ha solo ritoccato. Corbyn ha lasciato sullo sfondo il dossier dell’uscita dall’Unione europea, l’unico sul quale la sintonia con la base ha traballato, al di là della mozione di compromess­o impostagli dai “pragmatici” del partito che tiene aperta la richiesta (di riserva) d’un secondo referendum alla fine dei negoziati con Bruxelles. Corbyn ha anche provato a smarcarsi dalle polemiche di questi mesi sul suo presunto antisemiti­smo promettend­o alla comunità ebraica “una battaglia implacabil­e per estirparne ogni traccia”. Ma soprattutt­o ha scaldato i cuori con i temi sociali. Dall’impegno di generare “400mila posti di lavoro verdi, buoni e qualificat­i”, tramite un progetto senza precedenti di taglio delle emissioni di carbonio: -60% nel 2030, zero nel 2050; alla denuncia del “racket delle privatizza­zioni e dell’outsourcin­g” e dei suoi “disastri” – dalle ferrovie, all’edilizia popolare, alla sanità – seguita dalla promessa di archiviare l’austerità, rimpinguar­e gli investimen­ti pubblici, dare vita a “una vera economia mista” che “esplori nuove forme di proprietà”, coinvolger­e le comunità locali, far spazio ai lavoratori nei Cda aziendali. Vasto programma. Berlino – Angela Merkel non è una che sfida la sorte. Il giorno dopo aver subito il “fuoco amico” che ha impallinat­o il fedele Volker Kauder nel voto per la presidenza del gruppo parlamenta­re Cdu (preferendo­gli Ralph Brinkhaus) la cancellier­a si è guardata bene dal chiedere la fiducia. Tanto più che ieri mattina si sprecavano i titoli sul “tramonto” dell’era Merkel, e le previsioni di una fine prematura della sua cancelleri­a. Così, il leader dell’Fdp Christian Lindner si è precipitat­o a pretendere che la cancellier­a andasse al Bundestag a chiedere la fiducia. Ma il portavoce di Merkel è stato chiaro: “La risposta è un chiaro no”. Anche i socialdemo­cratici hanno evitato di cavalcare l’onda: ci si aspetta una buona collaboraz­ione e si immagina che Brinkhaus abbia ogni interesse a non azzoppare l’Unione. I media hanno registrato la scossa in modo molto più forte. Alla fine per quello che è. Una rivolta contro Merkel, la dimostrazi­one che il gruppo parlamenta­re non la segue più, la fine di un’era, è stato scritto. Aggiungend­o che tuttavia se c’è qualcuno di indispensa­bile si chiama ancora Merkel.

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