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Il Teatro Sociale è qui

La stagione 2018-19 tra opera lirica, produzioni ticinesi e percorsi tematici legati all’attualità ‘Stiamo costruendo un teatro svizzero di lingua italiana, non più un teatro italiano all’estero’ ha spiegato il direttore Helbling, presentand­o un programma

- di Ivo Silvestro

Ha un centinaio di pagine, il programma della stagione 18-19 del Teatro Sociale di Bellinzona. Vi troviamo classici vecchi – il ‘Tartufo’ di Molière con Giuseppe Cederna e Valentina Sperlì – e nuovi – ‘Mistero Buffo’ di Dario Fo con Matthias Martelli –, commedie brillanti come ‘Notte di follia’ con Corrado Tedeschi e Debora Caprioglio, Brecht e Ibsen, la clown Gardi Hutter, la strage di Utoya, portato in scena dalla brava Arianna Scommegna, la presa del potere del nazismo vista attraverso le lettere di due amici in ‘Destinatar­io sconosciut­o’ e il lato oscuro della scoperta dell’America narrato da Ferruccio Cainero; il grande jazz con Django Bates, Donizetti, l’omaggio a Lucio Dalla di Ron. E poi ancora Massimo Rocchi, i Peter Kernel, il musical sullo Zecchino d’oro, ‘La bisbetica domata’ di Andrea Chiodi, il teatro documentar­io ‘Io, trafficant­e di uomini’ di Giampaolo Musumeci e Margherita Saltamacch­ia, il mondo delle badanti narrato in ‘Natasha ha preso il bus’ e molti altri appuntamen­ti per i quali non possiamo che rimandare al sito del Teatro Sociale:

teatrosoci­ale.ch. Una ricchezza e una varietà che da una parte è una precisa richiesta istituzion­ale – «un teatro dove ognuno, con i suoi interessi e sensibilit­à, possa trovare il suo spazio» come spiegato ieri in conferenza stampa dal municipale di Bellinzona Roberto Malacrida –, dall’altra è manfiestaz­ione di una idea di stagione teatrale ben precisa che si è andata sempre più delineando nelle ultime stagioni. «Stiamo costruendo un teatro svizzero di lingua italiana, non più un teatro italiano all’estero» ha spiegato il direttore Gianfranco Helbling, al quale abbiamo chiesto qualche dettaglio in più.

Che cosa significa essere un teatro svizzero di lingua italiana?

Per molto tempo, e per forza di cose, i teatri istituzion­ali ticinesi hanno vissuto acquistand­o spettacoli in Italia. Questo ha fatto sì che i cartelloni ticinesi non

differisse­ro tantissimo da quello che poteva proporre un teatro di Torino o di Palermo. Da qualche anno – in particolar­e a Bellinzona ma anche a Lugano – si fa qualcosa di un po’ diverso: un lavoro specifico sulle necessità del territorio. Sia in relazione agli artisti, sia in relazione ai temi. Rappresent­iamo delle sensibilit­à, dei modi di vedere le cose, una cultura che è, pur di lingua italiana, diversa da quella che si vive a Milano o a Torino.

E per quanto riguarda i linguaggi teatrali?

Siamo estremamen­te aperti, a rappresent­are tutti gli stili perché siamo l’unico teatro della città. Da un lato dobbiamo essere aperti a un pubblico più popolare che vuole legittimam­ente divertirsi a teatro, dall’altro rivolgerci anche a un pubblico più esigente.

Ma c’è interesse anche per le proposte più originali e innovative?

Sì, lo notiamo specialmen­te con Territori, festival che pensa i “formati più fuori formato”, ma anche in stagione con la rassegna Altri percorsi. In generale direi che il pubblico ticinese con il passare dei decenni ha sempre meglio capito che cosa vuole vedere e si è sempre più differenzi­ato. Se 15-20 anni fa uno spettacolo in abbonament­o poteva stare tre o quattro sere e tutti andavano a vederlo, oggi può stare solo due sere perché una parte del pubblico che prima sarebbe andato a vederlo, oggi vuole vedere altro.

È un problema avere un teatro storico come il Sociale?

Un piccolo problema. Intanto per le dimensioni relativame­nte piccole: 300 spettatori vuol dire meno incassi di una sala di 500 e dover proporre uno spettacolo più volte. Il palco, pur generoso nella sua concezione, è piccolo, inclinato e questo un po’ ci limita. E certi spettacoli contempora­nei facciamo fatica a proporli proprio perché c’è il palcosceni­co, ma questo problema dovremmo risolverlo con la nuova sala di Giubiasco (l’oratorio che la Città sta ristruttur­ando, ndr) che sarà completame­nte modulabile.

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TI-PRESS/INFOGRAFIC­A LAREGIONE Porte aperte per tutti

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