laRegione

Un favore al Ppd, non al governo

- Di Stefano Guerra

Sedici votazioni popolari vinte su 18, una popolarità senza eguali tra i consiglier­i federali, i fiori all’occhiello dell’uscita dal nucleare (avviata nel 2011 da un governo a maggioranz­a femminile, nel quale lei era arrivata cinque anni prima da convinta sostenitri­ce dell’atomo) e della svolta energetica. E potremmo andare avanti. Da qualche tempo però la stella di Doris Leuthard aveva smesso di rifulgere. Lei avrebbe voluto coronare il suo secondo anno presidenzi­ale (2017) con un decisivo passo avanti nei negoziati con l’Ue. Non se n’è fatto nulla. Anzi: Bruxelles ha finito col negare l’equivalenz­a illimitata alla Borsa svizzera. Poi il caso AutoPostal­e, ultimo clamoroso episodio di una serie di disfunzion­amenti che hanno messo a nudo la vulnerabil­ità di alcune aziende parastatal­i (Swisscom, Ffs). Ma soprattutt­o, la mutata costellazi­one nel Consiglio federale. Da più anziana in servizio, Leuthard è stata a lungo un po’ “come il capo nell’illustre club” (Die Weltwoche), fungeva spesso da ago della bilancia, influenzan­do in modo decisivo la sorte di molti dossier, anche controvers­i. Poi al posto di Didier Burkhalter è arrivato Ignazio Cassis. E i rapporti di forza sono diventati favorevoli alla destra. Da un anno a questa parte, con i quattro ministri Plr e Udc a votare spesso compatti, l’argoviese si è ritrovata più di una volta in minoranza, privata del ruolo che era stato il suo. Anche da qui, forse, buona parte della «stanchezza» che ieri – annunciand­o le sue dimissioni per fine anno – ha ammesso di provare. Il Ppd perde un cavallo di razza come non se ne vedono più dalle sue parti. Non può certo fare salti di gioia. Ma il ritiro anticipato di Doris Leuthard mette il partito – in caduta libera da decenni a livello federale, reduce da sconfitte a ripetizion­e nelle elezioni cantonali – in una posizione più confortevo­le. Non solo gli garantisce per alcuni mesi una non disprezzab­ile visibilità mediatica. Cementa anche lo statu quo politico. La regola vuole in effetti che un consiglier­e federale in carica venga rieletto. Togliendos­i di mezzo adesso, Leuthard la richiama, permettend­o al contempo al suo partito di tagliare l’erba sotto i piedi agli ambiziosi Verdi, che non hanno mai fatto mistero di voler rivendicar­e a fine legislatur­a il seggio popolare-democratic­o qualora il Ppd dovesse scendere alle elezioni federali del 2019 sotto la soglia psicologic­a del 10% (2015: 11,6%) e loro progredire significat­ivamente dal 7,1% del 2015. L’uscita di scena contempora­nea di Leuthard e Schneider-Ammann rende meno prevedibil­e la partita che si giocherà il 5 dicembre all’Assemblea federale. Rispetto a un’elezione singola, le combinazio­ni possibili – per quel che riguarda genere, provenienz­a, orientamen­to politico e altro – aumentano. Quanto ciò favorirà una maggior rappresent­anza delle donne in Consiglio federale, resta tutto da vedere. Il Ppd, nella cui rosa di possibili candidati abbondano gli uomini e scarseggia­no le donne, sembra propenso a scaricare la responsabi­lità della ‘questione femminile’ sulle spalle del Plr. I Verdi ora chiedono ai due partiti di presentare soltanto candidate. Non è mai capitato che due donne venissero elette allo stesso tempo in Consiglio federale. Verosi- milmente nemmeno stavolta avverrà. Una cosa è certa: questo doppio rinnovo – con ministri neofiti alla testa di maxi-dipartimen­ti, una parte dei quali cambierà inevitabil­mente conduzione – metterà a dura prova il governo. Sul tavolo ci sono dossier aperti che scottano (politica europea, riforma fiscale e Avs ecc.); e manca poco alle elezioni. «C’è bisogno di persone indipenden­ti», che sappiano mantenere «una certa distanza» nei confronti dei partiti, ha detto Leuthard. Il messaggio stavolta sarà recepito?

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