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Storie di burattini

Intervista a Michel Poletti, fondatore e direttore del Festival delle marionette di Lugano

- di Ivo Silvestro

In attesa di scoprire il programma della 36ª edizione del festival, ripercorri­amo la lunga storia della manifestaz­ione e di questa arte che a torto molti consideran­o ‘solo per bambini’

Sta per alzarsi il sipario sulla 36ª edizione del Festival delle marionette di Lugano. Ma la storia della manifestaz­ione risale a quasi quarant’anni fa, come, nell’attesa della presentazi­one del programma definitivo, ci spiega il direttore e fondatore Michel Poletti. La manifestaz­ione era infatti iniziata, a Lugano, nel 1979. «Poi ci sono stati un po’ di problemi con le sale e allora siamo andati ad Ascona, dove mi hanno dato il Teatro San Materno, molto adatto alle marionette, per dimensioni, per acustica…». E lì il festival è stato di casa per dodici anni «poi il tetto del teatro cadeva sulla gente e abbiamo dovuto chiuderlo». Alcuni anni di stasi «e poi nel 2003 Lugano aveva ristruttur­ato il Teatro Foce e abbiamo potuto ripartire».

Tornando indietro al 1979, come mai avete deciso di fondare un festival dedicato alle marionette?

Io ero attivo a Lugano già da dieci anni, dal 1969, quando io e mia moglie siamo tornati dal Canada e abbiamo creato la prima compagnia. A quel tempo c’erano molti spettacoli all’estero, ma pochi in Ticino perché mancavano strutture. Così io e mia moglie abbiamo pensato che sarebbe stato interessan­te portare in Ticino queste cose molto belle che vedevamo frequentan­do altri festival e siamo diventati organizzat­ori, anche se non era quello lo scopo iniziale. C’è da aggiungere che in quel momento c’era anche la possibilit­à di collaborar­e con la television­e, la allora Tsi: abbiamo fatto tante cose, tre o quattro serie per i bambini, spettacoli in prima serata con le marionette…

Festival delle marionette, anche se il termine più preciso sarebbe ‘teatro di figura.’

Sì, il fatto è che l’italiano è strano, è una delle poche lingue che non ha un termine generico e allora qualche anno fa si è inventata questa cosa della figura che viene dal tedesco. E che a me dà un po’ l’orticaria. Non ho mai sentito un bambino dire: “Mamma mi porti a vedere le figure?”.

Però c’è differenza tra marionette, burattini…

Tecnicamen­te le marionette sarebbero quelle mosse con i fili mentre i burattini quelli che infili come un guanto e muovi da sotto. Solo che non finisce qui: ci sono anche il teatro d’ombre, i pupazzi – usati molto anche in television­e, tipo i Muppets e Topo Gigio – per cui abbiamo deciso di usare, come in francese, “marionette” come termine generico.

Insomma, forzare un po’ la lingua

per maggiore semplicità…

Esisteva un termine generico, in italiano: fantocci. Ma non si usa più da un secolo e al massimo lo si ritrova in qualche libro. E anche nel ‘Pinocchio’ di Collodi, lui parla di “burattino” e viene sempre illustrato come una marionetta… A un certo momento si è anche parlato di teatro d’animazione, ma è tutto astratto. Meglio “abusare” del termine marionette che è più immediato.

Chiamiamol­e marionette, quindi. E il pubblico? Qui pensiamo soprattutt­o a bambini, ma c’è una tradizione per un pubblico adulto.

Quando ho creato questo festival era destinato soprattutt­o a un pubblico adulto, con tanti spettacoli serali. Era la caratteris­tica del festival ed era quello che volevo fare: riportare sulla scena il teatro adulto per marionette. Si è potuto fare fino al ’98, quando abbiamo dovuto interrompe­re il festival. Quando abbiamo ripreso, tutto era cambiato e oggi il festival è più per un pubblico di famiglie e bambini.

È così difficile proporre a un pubblico adulto le marionette?

Si fa di nuovo fatica. La storia delle marionette è del resto fatta di cicli, di alti e bassi. Non siamo in un momento basso in assoluto, ma il discorso della marionetta per adulti è adesso difficile da far passare.

Ma questa difficoltà è generale o riguarda soprattutt­o il pubblico ticinese o di lingua italiana?

Secondo me è una tendenza globale, per quanto forse la situazione è un po’ diversa in altri Paesi come la Francia. C’è un tipo di spettacoli per adulti che può passare, ed è quello che tocca il ‘varieté’ o cabaret, spettacoli tipo musical con le marionette. Quest’anno abbiamo creato un altro festival in Svizzera romanda e abbiamo portato cinque di questi spettacoli: il pubblico è stato prevalente­mente adulto. Ma il teatro di marionette – quindi non il cabaret e neppure le fiabe – è ancora difficile da proporre. Ma continuerò a insistere.

In questi anni il Festival delle marionette ha ospitato numerose compagnie internazio­nali…

Sì, ne abbiamo avute più di cinquecent­o, provenient­i credo da 23 Paesi. A fare i conti non ci si crede…

Rimangono delle tradizioni nazionali, diversi modi di portare in scena le marionette, oppure ormai prevalgono linguaggi teatrali comuni?

Nell’Europa dell’Est c’è una tradizione molto forte che ha contagiato un po’ tutti. Questo perché dopo la Seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica ha messo molti mezzi sulle marionette – come del resto ne aveva messi anche sulla musica, sul balletto eccetera. Al Teatro centrale di Mosca, un teatro di marionette, c’erano 340 persone che lavoravano! E questo anche nei Paesi satelliti, per cui dagli anni Cinquanta fino agli anni Ottanta queste realtà hanno stimolato un po’ tutti, anche i Paesi dove la tradizione delle marionette era invece un po’ congelata, rivolta solo ai bambini e anche un po’ scadente. Come l’Italia: rimanevano i burattini in Emilia, ma delle grandi compagnie di marionette a fili, con una storia che risale all’Ottocento, ormai ce n’è una sola. Quindi, da una parte grazie a questo vento dell’est e, dall’altra, grazie alla creatività degli artisti francesi che avevano iniziato nei cabaret letterari del dopoguerra, c’è stato un revival delle marionette negli anni Sessanta. Ed è in questo revival che si inserisce, dando anche il suo contributo, il nostro Festival delle marionette.

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Allo Studio Foce dal 13 ottobre al 4 novembre

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