laRegione

‘Rabbia, problema reale’

Cani senza documenti, il veterinari­o cantonale: ‘Questione di salute pubblica’

- di Davide Martinoni

Così carini, ma mai importarli illegalmen­te: spesso è inevitabil­e l’eutanasia

Una cartina stilizzata dell’Europa presenta tutta la parte orientale del continente puntellata di rosso: è costituita da fitte macchiolin­e che si accavallan­o una sull’altra, determinan­do una sorta di grande ombra che sovrasta Paesi come la Russia, la Romania, la Bulgaria e l’Ucraina. Ogni macchia è un morto per rabbia, malattia di cui ricorreva ieri la Giornata mondiale. Secondo fonti americane, un decesso umano per la malattia – a tutt’oggi incurabile – avviene ogni 9 minuti nel mondo. Fanno 60mila morti all’anno. Cifre che apparentem­ente non riguardano l’iperprotet­ta Svizzera dei vaccini e di un sistema sanitario eccellente, ma che invece il veterinari­o cantonale Luca Bacciarini invita a considerar­e con estrema attenzione, evitando, soprattutt­o, qualsiasi banalizzaz­ione.

Storia di Max

Perché banali, all’apparenza, sono storie come quella del piccolo Max, uno Yorkshire color caffè, tenero e vivace se osservato oggi. Ma pochi mesi fa, quando era stato preso in consegna dal picchetto della Protezione animali di Locarno, quel batuffolo appariva sporco e malnutrito. Era l’emblema di un canovaccio collaudato: catapultat­o in Ticino senza microchip di riconoscim­ento e passaporto sanitario, era passato di mano almeno tre volte, senza indicazion­i chiare e verificabi­li che potessero localizzar­ne l’origine. Soltanto un paziente lavoro di “intelligen­ce” aveva consentito di ricostruir­e il suo percorso; poi, sulla base di indicazion­i sufficient­emente rassicuran­ti, era giunta la delibera dell’Ufficio del veterinari­o cantonale per le cure e le vaccinazio­ni del caso. Il lieto fine rappresent­a la recente presa a carico (qualcuno la chiama adozione) da parte di una famiglia, dove Max, che nel frattempo ha un nuovo nome, ha iniziato la sua seconda (o terza, o quarta) vita. Un lieto fine che rappresent­a peraltro un’eccezione, nel panorama dei “sans papier” a quattro zampe. Il quadro che Bacciarini traccia di una problemati­ca diffusissi­ma anche in Ticino, ma ancora per l’appunto banalizzat­a, è per certi versi agghiaccia­nte. «Stiamo parlando – dice il veterinari­o cantonale – di una questione serissima, di salute pubblica, riguardant­e la prevenzion­e della rabbia: una malattia considerat­a esotica e lontana dalla nostra realtà, ma che quando si affaccia è letale nel 100% dei casi: negli animali, fra atroci sofferenze, e naturalmen­te anche nelle persone, che possono contrarla anche soltanto da un contatto fra la saliva dell’animale infetto e una nostra ferita. Youtube è prodiga di filmati durissimi sulle estreme conseguenz­e di questa patologia». Terreno fertilissi­mo per situazioni che possono potenzialm­ente covare un pericolo mortale è l’ampio mercato che, specialmen­te dall’Europa dell’Est, via Italia o altri Paesi, si è sviluppato attorno ai cuccioli e ai trovatelli e che si manifesta alle nostre latitudini in tutta la casistica dei cani senza documenti. Gli archivi dell’Ufficio del veterinari­o cantonale e quelli delle Protezioni animali ticinesi ormai traboccano di casi simili: cani adottati per tenerezza o per pietà tramite portali che vengono sfruttati dalle organizzaz­ioni criminali facendo leva sul buon cuore delle persone. Che in buona fede, ma con colpevole disinvoltu­ra, accettano tortuosi itinerari che possono nascondere dirupi. «Il cane senza microchip e passaporto con la certificaz­ione antirabica rappresent­a un buco nero perché sappiamo che a monte prospera un commercio illegale in partenza da Paesi come Romania, Polonia o Ungheria, considerat­i esenti da rabbia o a bassissimo rischio, ma beneficiar­i di questa “qualifica” per una questione di opportunit­à politica in relazione all’appartenen­za degli stessi Paesi all’Unione europea», sottolinea Bacciarini. La cartina citata in entrata, con i suoi puntini rossi distribuit­i anche su quei territori, è la perfetta traduzione di questo grande inganno. Se per i cani certamente nati in Svizzera la mancanza, per leggerezza, di un microchip o di un passaporto porta unicamente a un’infrazione al proprietar­io, per quelli importati da altri Paesi il discorso è completame­nte diverso e varia in base alle cosiddette “categorie di rischio”. «La premessa è che in nessun caso si può andare in deroga rispetto all’esigenza di microchip e documentaz­ione d’accompagna­mento», precisa Bacciarini. Alla categoria di rischio più basso appartengo­no i Paesi Ue, gli Stati Uniti e altre nazioni che presentano condizioni favorevoli (dove cioè non sono censiti casi di rabbia nelle aree urbane): per importare legalmente sono necessari il microchip e un passaporto con vaccinazio­ne antirabica (per gli Usa, il microchip più un certificat­o standard). Ci sono poi i Paesi a rischio di rabbia urbana, per i quali microchip e passaporto non bastano: l’animale, dopo una comprovata vaccinazio­ne, dev’essere sottoposto a titolazion­e di anticorpi, consideran­do a monte variabili come l’affidabili­tà del vaccino inoculato, una tempistica errata della vaccinazio­ne stessa o la presenza della malattia già prima della vaccinazio­ne.

Segnalazio­ni giornalier­e

I “paletti” fissati dalla legislazio­ne svizzera ed europea sono dunque chiarissim­i. Eppure giornalmen­te, come constata Bacciarini, «ci vengono segnalati casi di cani che vengono importati in Svizzera e “adottati”, senza microchip e alcuna documentaz­ione. Questo significa che manca, nella popolazion­e, una percezione del rischio e della problemati­ca nel suo insieme». Una problemati­ca che si complica ulteriorme­nte nei gangli della criminalit­à organizzat­a, dove l’esigenza di una parvenza di legalità ha portato a sviluppare un traffico di passaporti falsificat­i: «Parliamo di documenti trasportat­i in Europa centrale unitamente ai cuccioli e ai microchip. Gli abbinament­i canemicroc­hip-passaporto vengono fatti a casaccio. Ma spesso si tratta di falsificaz­ioni troppo perfette, anche come tempistica delle vaccinazio­ni: agli addetti ai lavori per fortuna non sfuggono, così scattano i controlli ed emerge la verità». Senza dimenticar­e un altro “girone infernale”: quello dei canili municipali che in Italia – terra di passaggio – incassano contributi pubblici per ogni quadrupede registrato, il che non gioca a favore dei controlli su provenienz­a e affidabili­tà. Il messaggio del veterinari­o cantonale, insomma, è chiarissim­o: «Mai prestarsi all’inganno: dietro un cane senza microchip e passaporto, preso in casa per pietà o tenerezza, importato tramite canali poco chiari, c’è un mondo senza scrupoli, anche e soprattutt­o nei confronti degli animali». Che giunti in Ticino, per ragioni di salute pubblica, arrischian­o fortemente di incontrare un destino che ha un nome femminile dal suono seducente: eutanasia.

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 ?? INFOGRAFIC­A LAREGIONE/CARTINE TRATTE DA WWW.WHO-RABIES-BULLETIN.ORG ?? Casi di rabbia diagnostic­ati negli animali in Europa nel 2017
INFOGRAFIC­A LAREGIONE/CARTINE TRATTE DA WWW.WHO-RABIES-BULLETIN.ORG Casi di rabbia diagnostic­ati negli animali in Europa nel 2017
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Casi di rabbia diagnostic­ati nelle persone negli ultimi 20 anni (1998-2017) Nel mondo ci sono ogni anno 60mila morti di rabbia La maggior parte delle vittime sono bambiniUna malattia tutt’altro che debellata
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Luca Bacciarini

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