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Dai fallimenti del 1914, le basi per lo sviluppo del secondo dopoguerra

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«Nel 1914, in modo inaspettat­o e inconsapev­ole, si è formato il contesto internazio­nale favorevole alla nascita della piazza finanziari­a svizzera. A Ginevra, per esempio, incomincia­no ad arrivare capitali dalla Francia. In misura analoga lo stesso fenomeno avvenne anche in altre realtà svizzere (a Basilea e Zurigo) e quindi anche a Lugano con i capitali italiani», continua Pietro Nosetti. Le motivazion­i di tale fuga sono quelle di sempre in un contesto di crisi ed incertezza politica: sfuggire all’inflazione e alle turbolenze valutarie. Siamo alla fine della Prima guerra mondiale. I bilanci degli Stati europei confinanti erano fuori controllo con deficit e debiti elevati (le guerre costano sempre troppo, ndr) e in Italia si aggraveran­no ulteriorme­nte durante il fascismo. Oltre a motivi prettament­e valutari (prima di allora il tasso di cambio lira-franco era uno a uno, ndr), ce n’erano altri, quindi, di natura politica: allontanar­si dal nascente regime fascista. La stessa cosa avviene quasi contestual­mente a Basilea e Ginevra. «Al mercato domestico, le banche svizzere e ticinesi ne aggiungono un secondo estero. È in questo periodo storico che si crea il canale che dopo la Seconda guerra mondiale diventerà un vero e proprio fiume in piena dall’Italia verso il sistema bancario ticinese», continua Nosetti. Ed è in questo contesto, negli anni successivi, che i rapporti di forza tra banche con sede in Ticino e succursali di banche svizzere ed estere si invertono a favore di queste ultime. «La Società di banca svizzera (Sbs), per esempio, la sua prima filiale ticinese la apre a Chiasso proprio per meglio servire il mercato italiano sul quale già operava. Nel frattempo anche il mondo bancario italiano si accorge della Svizzera e apre succursali. È il caso della Commercial­e italiana, del Banco di Roma e della Banca unione di credito che investono in Ticino proprio in funzione del mercato italiano. Aiutano in questo anche le differenze istituzion­ali e normative e l’effetto frontiera gioca un ruolo importanti­ssimo, con una costanza però: i centri decisional­i sono sempre altrove, a Zurigo, Milano, Ginevra o Trieste», conclude Nosetti. Una marginaliz­zazione che è diventata ancora più evidente ai nostri giorni.

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