In arte, Aznavour
La morte dell’ultimo grande ‘chansonnier’
Charles Aznavour se n’è andato nel sonno, nella notte fra domenica e lunedì. Icona vivente di due Paesi, la Francia e l’Armenia, cantante, attore, diplomatico e ambasciatore in Svizzera, ha segnato con la sua voce la storia della canzone del ’900. Dall’incontro con Edith Piaf all’ultimo concerto, pochi giorni fa, ha passato sul palco oltre 80 anni, con la passione del primo giorno, fra i vicoli di Parigi...
a cura di Claudio Lo Russo
Di lui si dice che sia salito su un palco per la prima volta all’età di 9 anni, coniando fin da subito il suo nome d’arte: Aznavour. L’ultima volta lo ha fatto il 19 settembre scorso, a Osaka, Giappone, esattamente 85 anni dopo. Fedele al suo spirito, che gli suggeriva di cantare fino a 100 anni, aveva già messo in agenda la prossima data, il 26 ottobre a Bruxelles. Ma Charles Aznavour – al secolo Shahnourh Varinag Aznavourian – se ne è andato per sempre nella notte fra domenica e lunedì nella sua casa di Mouriès, in Provenza. Nato a Parigi il 22 maggio 1924, Aznavour aveva 94 anni e tanta voglia di proseguire nella sua prodigiosa carriera di chansonnier, nel corso della quale si stima che abbia scritto oltre mille canzoni e venduto qualcosa come 300 milioni di dischi, per non dire dei concerti in sette lingue che ha tenuto in ogni continente. Figlio di immigrati armeni, orgoglio nazionale di due Paesi – la Francia e, appunto, l’Armenia –, Aznavour è cresciuto in un ambiente fertile che ha coltivato il suo gusto per l’arte, in una Parigi d’altri tempi, ormai perduta per sempre (come lui stesso cantava, già mezzo secolo fa, nell’indimenticabile ‘La Bohème’).
Cantante, attore, diplomatico
Cantante e attore, dal 1995 Aznavour è stato pure diplomatico per il suo Paese d’origine, essendo stato nominato prima ambasciatore itinerante dell’Armenia presso l’Unesco e dal 2009 ambasciatore in Svizzera e rappresentante permanente dell’Armenia presso la sede Onu e altre organizzazioni internazionali a Ginevra. Infatti, in virtù della sua immensa popolarità, Aznavour ha superato pressoché indenne anche le dure critiche che lo hanno accompagnato da quando ha spostato la sua residenza in Svizzera: dal 1976 al 2012 a Ginevra, in seguito a St-Sulpice nel Canton Vaud. Alle accuse di evadere il fisco, lui ha sempre risposto a muso duro che della Svizzera si è fatto un “mostro” in modo pretestuoso e che lui, in ogni caso, le tasse ha continuato a pagarle ovunque abbia lavorato. Amato e popolare come pochi altri cantautori del Novecento, Aznavour è riuscito in un’ultima impresa diplomatica: mettere d’accordo Emmanuel Macron e Matteo Salvini. Se, come ad ogni decesso illustre, ieri si è innescato il coro del compianto, un omaggio comprensibilmente atteso era quello del presidente francese: «Profondamente francese, legato visceralmen- te alle sue radici armene, riconosciuto nel mondo intero, Charles Aznavour ha accompagnato gioie e dolori di tre generazioni. I suoi capolavori, il suo timbro di voce, il suo successo unico sopravviveranno a lungo». Salvini gli ha involontariamente dato ragione con l’immancabile tweet. Ma a salutare la «guida» sono stati molti altri, dalla Francia all’Armenia, da Brigitte Bardot a Laura Pausini.
‘Abbiamo riso tutto il pomeriggio’
L’ultimo amico ad essere andato a trovarlo, domenica pomeriggio, l’aveva trovato allegro e disponibile: «L’immagine che mi è rimasta quando l’ho lasciato ieri sera – ha raccontato l’attore e cantante Michel Leeb – è lui che scoppia in una gran risata». Poche ore dopo, Aznavour è morto nel sonno. Le cause non sono state individuate, per oggi è prevista l’autopsia. “L’istrione”, dal titolo di uno dei suoi successi, stava bene, era in forma, era allegro. Era da poco stato protagonista di due concerti in Giappone, stava per ripartire con un tour e venerdì era apparso alla tv francese. Ogni tanto era costretto ad annullare qualche data, da anni una poltrona era accanto a lui in scena e, sempre più spesso, Aznavour ne approfittava fra un pezzo e l'altro. Negli ultimi mesi si era fermato per un colpo della strega e, di recente, per una frattura al braccio. Come detto, il grande Aznavour si chiamava in realtà Aznavourian, ed era nato da genitori armeni di passaggio in Francia, in attesa del visto per gli Stati Uniti: una famiglia con un ristorante e un gusto spiccato per la musica e le arti. Ed era un uomo basso, 1 metro e 60, con un fisico che non lo aiutava e una voce roca, atipica: «Sul versante dei critici – raccontò una volta ripercorrendo i suoi esordi – ero stato ben servito: brutto, piccolo, dissero anche che non bisognava lasciar cantare gli infermi».
La vita dopo Edith Piaf
Nato e cresciuto a Parigi, all'Armenia è rimasto legatissimo per tutta la vita. Nel profondo, però, era l’incarnazione di un modo autentico quanto viscerale di essere francese. Tre mogli e sei figli (dei quali uno morto a 25 anni), colui che era noto nel mondo come «il Sinatra francese» era conscio che – visti gli inizi a dir poco difficili – la sua era stata una «carriera insperata». Cominciò da attore, nel cinema e al teatro, una passione che lo avrebbe poi portato a interpretare moltissimi film, fra i quali ‘Tirate sul pianista’ di François Truffaut, ‘Viva la vita’ di Claude Lelouch e ‘I fantasmi del cappellaio’ di Claude Chabrol. Ma a cambiargli la vita fu l’incontro con Charles Trenet e Edith Piaf, che lo portò in tour con la sua orchestra, aprendogli la via della chanson. ‘Sur ma vie’, a metà degli anni 50, lo fece scoprire al grande pubblico. Qualche anno dopo si affermò ancora con ‘Je m’voyais déjà’. Nel 1963 la consacrazione internazionale alla Carnegie Hall di New York, poi l’impegno sociale con ‘Mourir d’aimer’ (ispirata al suicidio di un’insegnante innamorata di un allievo, nel 1969) e ‘Comme ils disent’, sull’omosessualità. I suoi più grandi successi furono cantati da alcuni giganti della musica mondiale – da Ray Charles a Fred Astaire a Bing Crosby –, ma un rapporto speciale Aznavour lo ebbe con l’Italia, cantando egli stesso in italiano alcuni dei suoi pezzi più celebri, come ‘Ed io tra di voi’, ‘Com’è triste Venezia’, ‘Devi sapere’ o ‘Dopo l’amore’. Fra i tanti suoi impegni – lui figlio di una famiglia che durante la Seconda guerra mondiale avrebbe nascosto più ebrei – quello per il popolo armeno, dopo il terribile terremoto del 1988, che si tradusse nel brano ‘Pour toi Armenie’. Ieri il premier Nicol Pachinian lo ha ricordato come un «figlio eccezionale del popolo armeno, una persona che ha segnato un’intera epoca, un’intera storia, che per 80 anni ha meravigliato, scaldato il cuore, di decine, centinaia di milioni di persone».