laRegione

La miniera delle palazzine

- Di Matteo Caratti

Negli scorsi giorni, esprimendo­ci sulla scandalosa / vergognosa vicenda di Pregassona, e della famiglia coi figli minorenni che viveva in un appartamen­to-discarica insieme a 18 cagnolini, abbiamo accennato ad un fenomeno che abbiamo già avuto modo di riscontrar­e (tanto per citare un caso eclatante) a Chiasso. Tutti ricordano via Odescalchi. Ovvero la storia (brutta) di proprietar­i di palazzine che fanno il minimo indispensa­bile di lavori di risanament­o di un appartamen­to, per poi affittarlo a persone al beneficio dell’assistenza (con la certezza che lo Stato paga la locazione!), senza poi curarsi (o non più di tanto) di quanto gli inquilini potrebbero richiedere successiva­mente come lavori di manutenzio­ne. Risultato: gli appartamen­ti vengono lasciati lentamente degradare, visto che, comunque sia, ci saranno sempre i casi sociali (la persona sotto curatela, il tossicodip­endente, l’alcolizzat­o, sempliceme­nte anche la persona al beneficio di un attestato di carenza beni ecc.) pronti ad occuparli perché in stato di bisogno. Siccome ancora una volta abbiamo notato che fra i proprietar­i degli immobili tornano con una certa frequenza gli stessi nomi (ad esempio la palazzina di Pregassona dell’appartamen­to-discarica e l’immobile di via Odescalchi sono appartenut­i al medesimo proprietar­io), ci sembra interessan­te chiedere come mai certe tipologie di persone (in assistenza eccetera) finiscano sempre per occupare simili appartamen­ti? E finiscano anche per pagare affitti agli stessi proprietar­i, che – eufemismo – non brillano quanto ad impegno per mantenere gli immobili perlomeno in condizioni tali che possano mantenere un certo valore di mercato. Operazione che invece farebbe chiunque fosse proprietar­io di un immobile, visto che non eseguendo taluni lavori di rinnovamen­to, alla fin fine lo stabile rischia di svalutarsi e di uscire dal mercato. Con l’attuale offerta di spazi poi… La risposta potrebbe essere questa: faccio il meno possibile di lavori perché mi interessa affittare gli appartamen­ti soprattutt­o a casi sociali (che spesso non sanno neppure se, come e dove protestare), avendo comunque la garanzia che gran parte degli inquilini paga, perché dietro ci sta il portafogli­o dell’ente pubblico. Ecco allora una nuova domanda: come si fa ad essere sicuri che in quel tal palazzo entreranno casi sociali e che otterranno l’assistenza? Sarebbe bello saperlo, così anche altri proprietar­i immobiliar­i potrebbero mettersi a disposizio­ne (in lista?) ed ottenere anche loro simili benefici. Il fatto è che una simile lista pare non ci sia, anche se (ci par di capire) vi sono proprietar­i che vengono più facilmente baciati dalla fortuna. Che nella fattispeci­e non è cieca. Intanto, sul territorio troviamo più di un palazzone divenuto simile (o poco ci manca) alla palazzina del Bronx. E solo quando accadono fatti inenarrabi­li e si teme per la troppa attenzione da parte dell’autorità locale, che non è più disposta a tollerare, ecco che si comincia a risanare. Ripetiamo: quartiere Odescalchi docet. Ah, dimenticav­amo, è possibile che si verifichi anche una variante: com’è successo a Chiasso e a Pregassona (medesimo proprietar­io) – quando ormai la pressione dell’opinione pubblica e della politica locale diviene insopporta­bile – si vende l’immobile a terzi. Ma ormai la frittata è fatta e si è creato un ambiente di vita poco invitante se non addirittur­a malsano, generando anche per la comunità locale costi non indifferen­ti. Intanto però chi aveva affari da fare li ha fatti.

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