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In Indonesia tardano gli aiuti all’isola dello tsunami La polizia spara per evitare ‘saccheggi’

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Giakarta – A cinque giorni dal terremoto e dallo tsunami, sull’isola di Sulawesi cominciano a mancare i servizi essenziali e gli aiuti umanitari. Con 66mila edifici crollati e intere aree non ancora raggiunte dai soccorrito­ri, a Palu si moltiplica­no i saccheggi dei negozi ancora in piedi, tra una crescente tensione tra la polizia e i residenti. Ed è scontato che il bilancio delle vittime, aggiornato ieri ad almeno 1’350, salirà ancora. Nella capitale provincial­e, colpita sia dal sisma di magnitudo 7,5 sia dal maremoto, gli agenti hanno sparato colpi in aria e gas lacrimogen­i per cercare di disperdere una folla che assaltava un negozio. La polizia locale ha disposizio­ni precise: chiudere un occhio di fronte a chi cerca cibo e acqua, ma non permettere il saccheggio di altri prodotti. Il carburante in città è agli sgoccioli, la rete elettrica è ancora a singhiozzo, e l’azienda petrolifer­a nazionale Pertamina ha inviato navi-cisterna per i rifornimen­ti. “Tutti hanno fame dopo diversi giorni senza mangiare”, ha detto in un’intervista in tv il capo dell’amministra­zione della provincia di Donggala, un’area ancora largamente inesplorat­a dai soccorrito­ri. Si stanno intanto scavando nuove fosse comuni, alcune capaci di contenere fino a un migliaio di corpi. Ieri si è saputo di una sorta di oratorio accanto una chiesa, in un villaggio vicino Palu, da cui sono stati estratti 34 corpi di ragazzini che stavano facendo catechismo. E altri 52 risultano dispersi.

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