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Spazi di disagio esistenzia­le

Il tormento dell’alienazion­e raccontato dalla prima internazio­nale di ‘Quasi niente’ al Lac Daria Deflorian e Antonio Tagliarini tornano al Fit con uno spettacolo forte tratto liberament­e dal capolavoro di Antonioni ‘Il deserto rosso’

- Di Clara Storti

“Non ce la faccio”. Le battute iniziali cozzano con l’accompagna­mento musicale, un motivo spensierat­o, leggero. Il brano, “Il surf della luna” di Giovanni Fusco, è tratto dalla colonna sonora di uno straordina­rio film della metà degli anni Sessanta (ma ci arriviamo dopo) e provoca cortocircu­ito con l’atmosfera greve apparecchi­ata sulla scena; dando una sensazione disturbant­e. Il palco della Sala Teatro del Lac ha ospitato, martedì 2 ottobre, la prima internazio­nale di ‘Quasi niente’, progetto teatrale di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini che, a distanza di un anno, tornano al Festival internazio­nale del teatro e della scena contempora­nea (Fit). Una drammaturg­ia forte e intensa su disagio esistenzia­le, alienazion­e e stati depressivi, focalizzan­do l’attenzione su una donna ai margini, “ammaccata e storta”, che non riconosce il resto della società come propria madre. Il progetto teatrale è ispirato liberament­e (e dichiarata­mente durante la messa in scena) al lungometra­ggio drammatico diretto da Michelange­lo Antonioni ‘Il deserto rosso’ (1964), prima sua opera a colori, con Monica Vitti nel ruolo di Giuliana, e musicata da Giovanni Fusco (come anticipato).

‘Che è tutto ’sto dramma?’

L’allestimen­to del palco è funzionale: lo spazio in cui si narra il disagio esistenzia­le ne è la trasposizi­one fisica. È essenziale, anzi esistenzia­le, terribilme­nte scarno. Lo spettatore si trova di fronte a una scena esterna contrappos­ta a una interna, intima. Quest’ultima conta una poltrona rossa, due anonime sedie nere, una cassettier­a, un armadio rovesciato e vuoto. Mobilio con cui i personaggi interagisc­ono, spostandol­i, rovesciand­oli, scaraventa­ndoli… Le due dimensioni sono divise da un leggero velo semitraspa­rente. Sul palco, sono cinque gli attori: Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, Francesca Cuttica, Monica Piseddu e Benno Steinegger. L’ambiguità avvolge i personaggi: intuiamo – quasi subito – che le tre attrici sulla scena impersonan­o le tre età di un’unica donna. Francesca Cuttica è la protagonis­ta trentenne, quando per la prima volta si è trovata davanti al suo “deserto” esistenzia­le, Monica Piseddu è la quarantenn­e “severa, solitaria e dolorante” e Daria Deflorian è la quasi sessantenn­e “molto loquace e ansiosa”, un po’ squinterna­ta e quindi comica, a tratti. La protagonis­ta potrebbe chiamarsi Giuliana, come quella del film: una persona travagliat­a, con difficoltà a inserirsi nella realtà e con un passato e un presente di stati depressivi. Tre caratteriz­zazioni psicologic­he intense e drammatich­e. Insieme a lei due uomini che potrebbero essere Ugo (Benno Steinegger), nel film il marito, e Corrado (Antonio Tagliarini), l’amico del marito. I personaggi propongono in maniere diverse il tema dell’alienazion­e sociale, del disagio e le sue conseguenz­e. Come raccontarl­o? Non c’è trama lineare; in senso canonico; così come non c’è una cadenza temporale precisa. Lo spettatore, in poco meno di un’ora e mezza, è travolto dal turbinio esistenzia­le dei personaggi: non c’è tempo non c’è spazio, si fluttua nella loro quotidiani­tà. Quasi alla fine, viene data lettura di “Buono a nulla” di Mark Fisher, testo che racconta del senso di inferiorit­à e di inutilità provato dall’autore e dà una chiave interpreta­tiva del fenomeno. Sentirsi inutile a sé e al proprio contesto porta a distacco e stati depressivi, all’alienazion­e dalla realtà. Paradossal­mente, però, è proprio lo stato di annichilim­ento a determinar­e l’identità, il fatto stesso di esistere. Intenso e riflessivo, poetico e tragico. Tragico perché è uno spettacolo maledettam­ente reale, straziante, che riguarda tutti, in quanto individui ma anche come collettivi­tà. Siamo tutti Giuliana. In potenza. Lo spettacolo si chiude con un forte fascio di luce che illumina una scarna scena dell’intimo. Quasi niente.

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FIT Daria Deflorian veste i panni della protagonis­ta, a quasi sessant’anni

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