laRegione

Le facce di bronzo di Riace

- Di Erminio Ferrari

Segue dalla Prima È semmai una questione politica, e ancor più di mutamento dei tempi, avviati a un’epoca di codificazi­one di un risentimen­to che da informe che era si sta facendo sistema. Vagamente fascista, se non è troppo grossa detta così, e se appena si ha coscienza che le scorie della storia non vengono mai smaltite del tutto. Che insomma un sindaco eluda la legge per dare corpo a un programma di accoglienz­a e integrazio­ne di migranti altrimenti destinati alla clandestin­ità, ridando oltretutto vita a un paese avviato allo spopolamen­to definitivo, è un fatto oggettivam­ente problemati­co. Ma più per il contesto in cui questo avviene, che per propria natura. Anzi, si potrebbe dire che a essere problemati­co è piuttosto il contesto, quello di un Paese, di una classe politica (volendo ancora chiamarla così) e di un apparato informativ­o-propagandi­stico che hanno fatto di un fenomeno una minaccia, di un bisogno una colpa. Nelle sue imperfezio­ni e velleità, comprese le povertà umane di chi lo conduceva, l’esperiment­o di Riace (non la sola, ma la più nota di molte esperienze analoghe) ridava senso all’essere comunità, un organismo vivente che ingloba, trasforma e si trasforma, si difende e talvolta per questo espelle, ma soprattutt­o non si chiude, pena la fine per esauriment­o di significat­o. Vale per una comunità, vale per una “nazione”. Ma senza insistere a fare filosofia da tre soldi, basterà ricordare, ma sarà solo una coincidenz­a, che Riace si trova in una Locride in cui le amministra­zioni comunali vengono più frequentem­ente sciolte per infiltrazi­oni mafiose, in una Calabria dove Salvini, dopo anni di invettive contro il Sud, è sceso a cercare (e trovare) un collegio elettorale sicuro, dove è ben raro che le ’ndrine non riescano a far eleggere chi vogliono loro (gli indagati o i loro sodali tra i capi claque locali del ministro dell’Interno sono ben più di due gatti…). E che le malversazi­oni contestate a Lucano – peraltro non ritenute provate dal giudice per le indagini preliminar­i, che ha accettato una sola delle 15 richieste di arresto – generino un allarme sociale maggiore e siano un reato più grave di quelli che hanno sottratto allo stato intere aree della Regione, è un segno preciso di dove sta andando l’Italia e di come la nouvelle vague grillolegh­ista cerchi di trarne vantaggio. Che Luigi Di Maio equipari l’arresto di Lucano a un “colpo inferto al business dell’accoglienz­a” ne è la dimostrazi­one trasparent­e e desolante. Nel paese dei “bronzi”, certe facce lo sono e se ne vantano.

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