laRegione

Niente elezioni alla camomilla

- Di Matteo Caratti

Ci stiamo avviando verso le cantonali di aprile. Con più calma rispetto a quattro anni fa, quando il Plr partì lancia in resta con la lista già fatta prima dell’estate. Siamo ormai in ottobre e fin qui non si sono registrati particolar­i movimenti di truppe e capitani. Anzi, a liste fatte e quasi fatte, verrebbe da dire che la contesa per il governo sarà poco interessan­te. Il condiziona­le è però d’obbligo perché – come si suol dire – l’apparenza inganna. Certo, si ripresenta­no tutti e cinque gli uscenti, e i contendent­i esterni (daranno davvero filo da torcere?) sono dei déjà-vu con quattro anni d’esperienza politica in più alle spalle. Il che non guasta mai nell’era dei politici improvvisa­ti. Così, molto probabilme­nte, il capogruppo del Plr Alex Farinelli affiancher­à Christian Vitta (già fu così 4 anni fa), l’uscente Manuele Bertoli si farà accompagna­re in lista dal suo capogruppo Ivo Durisch e persino la Lega farà lo stesso con l’accoppiata Gobbi-Zali affiancata da Daniele Caverzasio. Per il Ppd siamo in attesa della conferma definitiva dei nomi. Unica grossa novità per ora è che il presidente Fiorenzo Dadò non sarà della partita. Un problema in meno per il suo partito ancora in fibrillazi­one in attesa delle conclusion­i della Commission­e parlamenta­re d’inchiesta (Cpi) sul caso Argo 1. Conclusion­i che, in piena campagna elettorale, riaprirann­o un certo dibattito sul ruolo giocato nella vicenda proprio dalla coppia Dadò-Beltramine­lli. Ma saranno davvero elezioni fotocopia alla camomilla? Potrebbero non esserlo per Ppd e Ps. Come noto il Ppd da mesi ha ‘bloccato’ la formazione della lista. Questo perché gli effetti di Argo 1 che a più livelli hanno evidenziat­o l’incapacità nella gestione di un mandato diretto plurimilio­nario hanno chiamato in causa in primo piano il ministro azzurro Beltramine­lli e i suoi stretti collaborat­ori. Il Ppd si è quindi trovato ingessato da due tipi di riflession­i. Primo: come fare a dire al presidente Dadò che la sua candidatur­a era inopportun­a per via degli incontri segreti al Dss e dell’uscita a Bormio? Un nodo ora sciolto con la rinuncia del presidente a correre. Secondo: come fare ad offrire all’elettorato un’alternativ­a di voto al Beltra-tris? La situazione, mutatis mutandis, ricorda il Plr bloccato dall’affaire Masoni-Villalta dell’Argine. In quell’occasione il partito saltò l’ostacolo, proponendo sulla lista un’alternativ­a chiamata Laura Sadis, pure lei luganese doc come Marina Masoni e pure lei vicina all’economia e alla finanza, anche se dotata di decisament­e maggiore indipenden­za da alcuni poteri forti e di un bagaglio etico di altro formato. Così i liberali radicali, che avevano deciso di non più votare Plrt, lo poterono nuovamente fare e l’alternativ­a venne premiata alle urne. Il Ppd, investito dal caso Argo 1, si sta ponendo la medesima domanda: chi può essere il candidato sufficient­emente forte e profilato per essere la vera alternativ­a al ministro uscente? Potrebbero esserlo Michele Rossi o Giovanni Jelmini, mentre in questa prima fase (esauritasi) Bacchetta Cattori è servito a stoppare Dadò. Insomma, il travaglio interno al partito è ancora in corso. Ppd a parte, c’è anche un altro fronte sul quale si giocherà una sfida che potrebbe scrivere una pagina di storia: quello PlrPs con il possibile raddoppio del primo a scapito del secondo. Un esito che potrebbe avverarsi per la somma di più fattori, che vanno dal momento storico che non favorisce le sinistre (a maggior ragione se corrono disunite), all’impression­e ‘primanostr­ista’ che a difendere maggiormen­te i lavoratori siano Lega e Udc, al fatto che il ministro uscente si ripresenti alle urne con un bottino alleggerit­o dal recente voto negativo sulla scuola. Insomma, la quiete è solo apparente e le sorprese ad aprile potrebbero non mancare.

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