Quel sospirato sì dopo due bocciature
Non ci si arrivò subito al suffragio femminile, in Ticino. E il suo percorso, come spesso accade quando si tratta di ottenere diritti che oggi sono ritenuti sacrosanti, è stato piuttosto accidentato. Al risultato positivo del 1969, infatti, si arrivò dopo ben due semafori rossi. La prima votazione cantonale che si proponeva di introdurre il voto alle donne si tenne nel 1946, e venne respinta dal 77% dei votanti. Meno netta, ma una bocciatura arrivò anche al secondo tentativo. Nel 1966, infatti, i contrari arrivarono al 52%. Eppure, a distanza di tre anni, in Ticino il 63% degli uomini si dichiarò a favore del suffragio femminile. Due anni dopo, alle Elezioni cantonali del 4 aprile 1971, l’entrata in Gran Consiglio delle liberali radicali Linda Brenni, Elsa Franconi-Poretti, Elda Marazzi, Alice Moretti, Dina PaltenghiGardosi; delle popolari democratiche Dionigia Duchini, Ersilia Fossati, Rosita Genardini, Rosita Mattei, Ilda Rossi; della socialista Marili Terribilini-Fluck. In governo la prima donna arriverà 24 anni dopo, con l’elezione di Marina Masoni. Il percorso per la parità è stato lungo e tortuoso anche a livello nazionale. La prima richiesta di diritto di voto la inoltrarono le zurighesi nel 1868, senza successo. Nel 1893, sull’onda lunga del movimento delle suffragette, nacque lo Schweizerischer Arbeiterinnenverband, il sindacato di donne lavoratrici che chiese per la prima volta, e ufficialmente, il diritto di voto e di eleggibilità alle donne. Invano. Come in vano si è arrivati, nel 1959, per la prima volta a una votazione popolare per l’introduzione di questo diritto: due terzi dei votanti la respinse. Ma le cose cambiano nel 1968, con l’intensificarsi delle proteste delle Associazioni femminili. Considerando il contesto sociale elvetico e, va da sé, con la complicità del Maggio francese il Consiglio federale sottopone al popolo, nuovamente, il suffragio universale: il 7 febbraio 1971, il 65,7% dei votanti concretizza un secolo di battaglie femminili. JAC