Luoghi da sballo
Party illegali: dopo la Riviera, il Locarnese. Il ‘rave’ europeo a Cimalmotto
«Era un ritmo battente che ti entrava sottopelle. Così, per ore e ore, senza interruzioni. Ed è durato due notti. Ci sembrava di impazzire». È ancora vivo, in Franco (il nome vero è noto alla redazione), il ricordo del “rave party” che a fine settembre aveva “ravvivato”il weekend nella Valle di Campo. Un “rave” tenutosi in una zona molto discosta, passato praticamente inosservato a chi non si trovasse a quelle latitudini, ma che grazie a poche testimonianze dirette “laRegione” può ricostruire, soprattutto – ed è questo l’elemento più interessante – nella sua straordinaria entità. Franco, proprietario di un rustico a Cimalmotto, ricorda dunque, come fosse ora, quel “tuz tuz” proveniente dal basso, udito la prima volta il venerdì sera. «Erano le dieci, dieci e mezzo, e con mia moglie ci stavamo riposando in quella che normalmente è la nostra oasi di tranquillità. Ma quella sera no: entrava in casa un rumore continuo, sordo, insistente; sembrava un vecchio motore diesel. Ci abbiamo messo poco a capire che non era un motore e che proveniva dal fondovalle, dalla zona della “Geretta” di proprietà patriziale, circa 2 chilometri in linea d’aria da dove ci trovavamo noi. L’essenziale, comunque, è che quell’incubo non finiva mai». I bassi, infatti, avevano continuato a “sparare” senza interruzione fino al mattino. «Alle 8, dopo una notte completamente insonne, siamo usciti per capirci di più e dal sentiero per Magnello abbiamo scorto, in basso, l’accampamento con il gazebo e tutto quanto. L’impressione è che ci fosse un sacco di gente. E la musica continuava imperterrita. Verso le 10, per fortuna, come d’incanto è tornata la pace».
‘Questo movimento invisibile non può rimanere senza regole di sanità, igiene e sicurezza’
La stessa pace anelata, per tutta la notte precedente, da Ivo (anche in questo caso il vero nome è noto alla redazione), che con la moglie si trovava proprio sull’alpe Magnello: «Magnello è un nucleo di una ventina fra stalle e rustici a 1’800 metri di altitudine – dice – ma sembrava di essere nell’atrio di una discoteca. Quei bassi, portati in alto dalle
termiche, battevano e battevano, ora dopo ora, e la sensazione di non poterci far niente era veramente pesante. Volevamo scendere, andarcene, tanto quella musica, assordante e ripetitiva, era onnipresente. Un vero incubo». Un incubo che avrebbe potuto interrompersi dopo la prima notte, visto che Franco sabato pomeriggio aveva preso contatto con un municipale: «Gli ho scritto un messaggio e lui mi diceva di non saperne nulla, ma che si sarebbe informato. Poi ho saputo che il sindaco si era recato sul posto per richiamare i festaioli alla calma. Fatto sta che sabato sera la festa è ricominciata tale e quale ed è andata avanti fino a domenica mattina. Poi, su mia richiesta, è intervenuta la Polizia. Ma oramai erano le 10 e la grande carovana si stava disperdendo». Franco e Ivo riflettono sul fenomeno: «A quanto pare questi “rave” sorgono dal nulla, da un contesto “sotterraneo” che sfugge al controllo della gente diciamo comune. I ragazzi si danno appuntamento su internet e l’ubicazione, con tanto di coordinate Gps, viene fornita all’ultimo momento. Poi da lì in avanti parte la grande onda. Un movimento invisibile come questo non può anche rimanere senza regole, come chiaramente apparso nel caso di Cimalmotto. Circolano alcool e sostanze – questo è pacifico – e scegliere una zona discosta significa isolarsi anche in caso di emergenza sanitaria. L’ambulanza ci mette un’ora e un quarto a salire dal piano». Senza dimenticare l’aspetto della sicurezza e quello dell’igiene: «Pensiamo a qualche centinaio di ragazzi sul posto per due giorni e due notti. Beh, avranno i loro bisogni da fare, ma sul fondovalle non esistono gabinetti fissi né tantomeno “Toi Toi”. Le incognite di questi raduni sono insomma moltissime, e potenzialmente pericolose».