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Risolto il problema del ‘too big to fail’

Almeno in Svizzera non si parlerà più di un salvataggi­o bancario in stile Ubs

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Zurigo – Non si parlerà più in Svizzera di aiuti statali a una grande banca. È quanto sostiene il professore di economia Aymo Brunetti, secondo il quale il problema degli istituti finanziari ‘troppo grandi per fallire’ (too big to fail) è stato quasi risolto, per lo meno a livello concettual­e. Le banche devono compiere un ultimo passo: presentare all’organo di vigilanza sui mercati finanziari (Finma) le loro soluzioni di emergenza entro la fine del 2019. “Se verranno accettate, avremo un piano in caso di grave crisi”, ha affermato Brunetti, che ha preso parte all’elaborazio­ne della regolament­azione, in un’intervista alla agenzia Keystone-Ats. “È il massimo che si poteva ottenere”. Oggi le grandi banche devono disporre di sufficient­e capitale proprio per poter assorbire eventuali perdite. Devono però anche essere organizzat­e in modo da poter essere divise in caso di crisi, per consentire alle parti di rilevanza sistemica di sopravvive­re. La regolament­azione è una reazione al tracollo finanziari­o che ha portato al salvataggi­o statale di Ubs nell’ottobre di dieci anni fa. L’inevitabil­ità dell’aiuto “mi ha scioccato”, ricorda Brunetti, che all’epoca era alla testa della Direzione della politica economica della Segreteria di Stato dell’economia (Seco). Un imprendito­re che investe male e prende decisioni sbagliate deve poter fallire in casi estremi. Eppure non si è potuto lasciare che Ubs lo facesse per evitare problemi più seri all’intera economia svizzera. Secondo Brunetti, c’è il rischio di una nuova crisi, a causa della grande offerta di liquidità da parte delle banche centrali. Può anche darsi però che non si arrivi a tanto, dato che oggi le banche possono affrontare meglio le perdite. “È possibile che in caso di crollo siano soprattutt­o investitor­i privati e casse pensioni a farne le spese”. Malgrado la forte concorrenz­a, secondo Brunetti la piazza finanziari­a elvetica continua a essere attrattiva a livello internazio­nale. “Non c’è stato nessun esodo di attività bancarie, anche se c’era timore che ciò avvenisse con l’abbandono del segreto bancario”, ha concluso il professore, precisando che “tutto quello che facciamo è il minimo indispensa­bile”.

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