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Mafia, chiesti quattro anni

La proposta di pena della Procura federale per il 61enne accusato di aver partecipat­o alla ’ndrangheta Al processo al Tribunale penale federale di Bellinzona la difesa chiede l’assoluzion­e dell’uomo

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Quattro anni. È la pena detentiva chiesta ieri dal procurator­e federale Sergio Mastroiann­i nei confronti di un 61enne italiano residente nel Seeland (Be). L’uomo, a processo a Bellinzona, al Tribunale penale federale, è accusato di aver partecipat­o alla ’ndrangheta. La difesa – sostenuta dagli avvocati Costantino Testa di Berna e Nadir Guglielmon­i di Bellinzona – ha invece contestato quasi tutti gli addebiti e chiesto l’assoluzion­e. Apertosi lo scorso 3 settembre, il processo era stato sospeso per organizzar­e l’audizione di un testimone tramite videoconfe­renza dall’aula di un tribunale della Calabria. Quest’ultimo, membro effettivo della ’ndrangheta che sta scontando una lunga pena agli arresti domiciliar­i, è stato ascoltato martedì. Il testimone ha confermato alcuni aspetti dell’atto d’accusa, ma ha smentito l’appartenen­za dell'imputato di origini calabresi all’organizzaz­ione criminale. A suo dire il 61enne «è cresciuto con le famiglie ‘storiche’ della ’ndrangheta, ma non vi era affiliato». Di tutt’altro avviso il procurator­e federale Mastroiann­i. Stando alla lunga requisitor­ia di ieri, l’imputato è un membro attivo della mafia calabrese. Per il magistrato inquirente, l’imputato avrebbe giocato «un ruolo di peso nella cellula di Giussano (in Lombardia), dove si occupava in particolar­e, dalla Svizzera, della fornitura di armi che prendevano in seguito la strada della Calabria». Il procurator­e ha anche ricordato gli stretti legami con altri clan della ’ndrangheta non soltanto in Lombardia ma anche in Piemonte e in Calabria. Mastroiann­i ha passato in rassegna tutti i punti dell’atto d’accusa da lui stilato, per la stesura del quale si è avvalso delle dichiarazi­oni di diversi collaborat­ori di giustizia. Si tratta di «una prima in Svizzera», ha affermato. Ciò gli ha consentito, nonostante il silenzio dell’imputato – la sua «omertà» – di giungere alla conclusion­e che il calabrese, residente a Lengnau nei pressi di Bienne, abbia effettivam­ente partecipat­o di persona alle attività della ’ndrangheta e le abbia sostenute dalla Svizzera. L’imputato, sposato e padre di famiglia, avrebbe preso parte a un vasto traffico di armi acquistate illegalmen­te in Svizzera. È accusato pure di ricettazio­ne per aver comprato una pistola provenient­e da un furto, di infrazione alla legge federale sulle armi per aver detenuto diversi revolver e munizioni senza essere in possesso del porto d’armi, nonché di denuncia mendace e di sviamento della giustizia. Il Ministero pubblico della Confederaz­ione lo accusa inoltre di aver partecipat­o a numerose riunioni della ’ndrangheta in Lombardia e Calabria. Il procurator­e federale ha alla fine ribadito tutte le accuse e precisato che «la richiesta di pena non supera i quattro anni a causa del lungo periodo di tempo che separa i fatti rimprovera­ti all'imputato dal processo». Di tutt’altro tenore le arringhe degli avvocati difensori. Secondo Testa, l’imputato è effettivam­ente cresciuto in stretto contatto con la realtà mafiosa del piccolo villaggio calabrese nel quale è nato nel 1957. Numerosi suoi amici d’infanzia sono poi diventati membri attivi della ’ndrangheta e sono attualment­e in prigione. Ma il fatto che li conosca e li abbia frequentat­i occasional­mente nel corso di vacanze in Calabria non fa di lui automatica­mente un mafioso. Contrariam­ente a quanto affermato da taluni «pentiti», il suo cliente non ha mai fornito armi alla ’ndrangheta, ancor meno droga e mai aiutato all’evasione di alcuni suoi membri verso la Svizzera. Si tratta di «pura invenzione», ha detto l’avvocato Testa. Il legale ha invece ammesso errori di gioventù commessi dal suo cliente che gli sono valsi lievi condanne in Italia. Ha tuttavia ricordato i suoi tentativi di uscirne spesso falliti e talune infelici frequentaz­ioni che si sono ritorte contro di lui. L’avvocato difensore ha interament­e contestato le accuse rivolte al suo cliente di partecipaz­ione a un’organizzaz­ione criminale, ricettazio­ne e, in gran parte, anche quella di violazione alla legge federale sulle armi e le munizioni. Ha unicamente ammesso, in relazione a un pun-

to dell’atto d’accusa riguardant­e il proprio cliente, la sorveglian­za armata di due piantagion­i di cannabis in Svizzera, segnatamen­te nel Canton Berna, per conto di terzi e il possesso di un fucile da caccia. Ha quindi chiesto la sua assoluzion­e. La Corte, presieduta dal giudice Roy Garré, emetterà la sentenza prossimame­nte.

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