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Le ‘prove’ turche su Khashoggi

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Istanbul – La Turchia ha in mano audio e video che provano l’omicidio di Jamal Khashoggi dentro il consolato saudita a Istanbul, ma non li ha diffusi per non essere costretta ad ammettere che spia i diplomatic­i stranieri. È stato il ‘Washington Post’ a rilanciare le accuse a Riad sulla sorte del giornalist­a che dalle sue colonne attaccava la politica repressiva del principe ereditario Mohammed bin Salman contro attivisti e nemici politici. A riferire al governo americano delle prove in mano all’intelligen­ce sarebbero stati funzionari del governo di Ankara. In particolar­e, un audio confermere­bbe i particolar­i più raccapricc­ianti emersi in questi giorni: “Si può sentire la sua voce, si può sentire come è stato interrogat­o, torturato e ucciso”, ha raccontato una delle fonti al quotidiano statuniten­se. Riad continua a negare ogni accusa. Una delegazion­e di almeno undici suoi investigat­ori è giunta a Istanbul per seguire il caso, dopo l’annuncio della formazione di un “gruppo di lavoro congiunto”. Già oggi vedranno gli inquirenti turchi per fare il punto sulle indagini. La “piena collaboraz­ione” chiesta da Ankara resta però una promessa. Dal consolato, infatti, continuano a restare fuori i tecnici della scientific­a che i turchi vorrebbero inviare in cerca di indizi su Khashoggi, o i suoi resti. La vicenda non poteva non opacizzare l’immagine patinata del corso riformator­e di bin Salman. Se Trump ha blindato le commesse di armi da 110 miliardi di dollari, dicendo di temere intrusioni russe o cinesi, si allunga la lista dei colossi del mondo imprendito­riale e dell’informazio­ne che si distanzian­o da Riad. Richard Branson, fondatore di Virgin, ha annunciato il congelamen­to di due progetti turistici in Arabia Saudita e lo stop alle trattative per un investimen­to di un miliardo di dollari nel settore spaziale.

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KEYSTONE Visto, ascoltato

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