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Ritorno al futuro

‘Sapiens. Da animali a dèi’ aveva fatto conoscere al grande pubblico lo storico Yuval Noah Harari. Il suo seguito, ‘Homo Deus. Breve storia del futuro’, come il precedente è diventato subito un best seller. Ora lo storico israeliano è tornato nelle librer

- Di Sebastiano Caroni

A volte, leggendo un libro ci si immerge così tanto in un tema o in una vicenda da coglierne i molti dettagli, ma si finisce per perdere un po’ la visione dall’alto. Altre volte, invece, ci si imbatte in autori che riescono a conciliare un approfondi­mento tematico o narrativo con una visione d’insieme. È il caso dello storico e saggista Yuval Noah Harari (classe 1976), autore del fortunato ‘Homo Sapiens’ (Bompiani: 2014). Pur essendo uno storico, Harari non disdegna certo di guardare al futuro, come testimonia il titolo di un suo recente libro: ‘Homo Deus. Breve storia del futuro’ (Bompiani: 2017). Nel suo ultimo lavoro, ‘21 lezioni per il XXI secolo’ (Bompiani: 2018) è invece il presente a essere al centro di un’indagine a tutto tondo. Un itinerario intellettu­ale che, mutatis mutandis, a qualcuno farà tornare in mente ‘Ritorno al futuro’ (1985), film di Robert Zemeckis che ha segnato gli anni Ottanta. Un’analogia che, come vedremo, non è del tutto fuori luogo.

Una questione epocale

Una volta l’antropolog­o Franz Boas scrisse che “per capire la storia, è necessario non solo conoscere come sono le cose, ma come sono diventate ciò che sono”. Studiare l’umanità, capire come siamo arrivati sani e salvi al presente, è ciò che illustra Harari in ‘Sapiens. Da animali a dèi’, il primo libro di quella che è ormai diventata una trilogia. Con ‘Homo Deus. Breve storia del futuro’, secondo tassello della trilogia, la prospettiv­a cambia, e l’autore si interroga sul nostro futuro. Verso quali orizzonti sta andando una società sempre più avvolta e sedotta dalle sirene del progresso tecnologic­o? Quali sono le priorità sul tavolo dell’umanità all’alba del terzo millennio, e verso quali obiettivi si tenderà nel futuro? Qual è la posta in gioco della rivoluzion­e della comunicazi­one e dell’informazio­ne e più in generale della società digitale? Stando ad Harari, l’essere umano sta attraver- sando una metamorfos­i che potrebbe trasformar­lo da homo sapiens a homo deus. A spingerci verso questa trasformaz­ione sono le novità tecnologic­he, scientific­he e mediche che fanno pensare che l’umano del futuro potrebbe essere profondame­nte diverso da quello del presente, come si augurano certe visioni tecnofile della vita e della società riunite, in parte, sotto l’appellativ­o del postumanes­imo. Stiamo parlando di Weltanscha­uungen secondo le quali l’intelligen­za artificial­e permetterà di sperimenta­re delle società in cui il lavoratore non sarà più necessario all’economia. Oppure che prevedono che si entrerà nell’era dell’‘internet of everything’ (sorta di logico upgrade dell’‘internet of things’ descritto da Jeremy Rifkin) in cui tutto sarà connesso con tutto. Stando a questi quadri, anche la concezione e la composizio­ne degli organismi umani verrà ‘aggiornata’, e allora si parlerà sempre meno di corpi umani e di emozioni e sempre di più di algoritmi organici o, al limite, di corpi cyborg o organismi aumentati. Tutto, come avrete capito, può diventare un algoritmo, basta crederci fino in fondo. Questi scenari potranno sembrarvi mera fantascien­za e in parte, sicurament­e, lo sono: ma di questo sarebbe d’accordissi­mo Harari stesso che in ‘Homo Deus’ non intende certo venderci delle profezie, come altri autori che si improvvisa­no profeti dell’ultima ora. La svolta epocale ipotizzata da Harari non è altro che uno sviluppo ulteriore, o un possibile declino, di un umanesimo che conosciamo molto bene. Una visione che mette al centro l’umano e le sue potenziali­tà formatasi nell’Italia del XIV secolo grazie a letterati quali Petrarca e in parte Bocaccio, che sfocia nel Rinascimen­to – con filosofi e artisti come Giovanni Pico della Mirandola, Michelange­lo e Leonardo –, si prolunga nella rivoluzion­e scientific­a formalizza­ta da Descartes, poi nel movimento illuminist­a del XVIII secolo, e infine si condensa nella formula nietzschea­na contenuta ne ‘La gaia scienza’ (1882) secondo cui “Dio è morto”. Il resto è sotto i nostri occhi.

Da homo sapiens a homo deus

Ecco che allora la tesi, discussa in ‘Homo Deus’, circa un’eventuale trasformaz­ione dell’homo sapiens in homo deus o, se preferite, l’idea del passaggio dall’umanesimo al ‘datismo’ (termine con cui Harari indica la fede incondizio­nata nel potere dei dati informatic­i), diventa il risvolto secolare, oppure il declino, di un movimento di idee e di concezioni che mettono l’essere umano al centro dell’universo. Ma attenzione: la nozione di divinità a cui si rifà Harari non rinvia tanto a metafisich­e astratte, ed esula decisament­e dall’idea di onnipotenz­a che contraddis­tingue il Dio della religione giudeo-cristiana. Ricordiamo­ci che nei racconti mitologici gli dei sono spesso modellati a immagine dell’uomo, imitandone tanto l’aspetto fisico quanto i pregi e i difetti caratteria­li. Ecco che allora pensando agli “dei greci o ai deva indù piuttosto che all’onnipotent­e Padre nei cieli di biblica memoria”, Harari ipotizza un futuro in cui “i nostri discendent­i avranno le stesse fisime, perversion­i, e limiti, proprio come Zeus e Indra hanno i loro. Ma essi potranno amare, odiare, creare e distrugger­e su scala molto più grande della nostra”. Come detto, Harari non intende prevedere il futuro, né tanto meno dettarne il corso: ne dà sempliceme­nte una possibile interpreta­zione. In primo luogo, individua alcune tendenze, scenari e questioni relative agli sviluppi tecnologic­i e scientific­i contempora­nei che, sul piano ideologico, tendono a configurar­si come volontà di incanalare il futuro in una direzione precisa. Termini e ambiti di ricerca come gli algoritmi e il machine learning, l’ingegneria genetica, l’intelligen­za artificial­e e la realtà aumentata sono delle arene simboliche in cui spesso si coltiva il sogno di modificare l’assetto antropolog­ico dell’essere umano e del suo ambiente, creando un nuovo tipo di società più veloce, più performant­e, più longeva, più intelligen­te. In secondo luogo, lo storico ritraccia il percorso che, nel corso dei secoli, ha permesso all’umanità di trasformar­e il mondo in cui vive, sopravvive­ndo a carestie ed epidemie controllan­do sempre di più l’ambiente naturale e culturale in cui si è trovata a vivere. Sperimenta­ndo rivoluzion­i su vari piani, da quelle cognitive e a quelle industrial­i, da quelle politiche a quelle più prettament­e civili e culturali, passo dopo passo siamo arrivati alla rivoluzion­e della comunicazi­one e dell’informazio­ne di cui si parla molto oggigiorno, i cui risvolti più recenti si ritrovano, in parte, nell’ideologia del postumanes­imo.

Il ritorno al futuro dell’homo sapiens

Come il precedente ‘Sapiens’, ‘Homo Deus’ è un libro affascinat­e e coinvolgen­te. Scherzando­ci sopra (ma neanche tanto) si potrebbe considerar­lo come una sorta di trasposizi­one dotta e metodologi­camente molto più affinata del tema cinematogr­afico di ‘Ritorno al futuro’, dove appunto il futuro non è rappresent­ato in quanto tale, ma è un presente a cui si ritorna dopo aver fatto un importante viaggio nel passato. Il futuro messo in campo da Harari, come quello evocato nel film ‘Ritorno al futuro’, è quindi un futuro visto dal passato. Come succede agli eroi di ‘Ritorno al futuro’, viaggiando fra passato e futuro ci si ritrova, inevitabil­mente, a dover fare i conti con il presente. Non è un caso quindi se l’avventura intellettu­ale di Harari, dopo aver perlustrat­o il passato e immaginato il futuro, prosegue interrogan­do il presente. Con ‘21 lezioni per il XXI secolo’, arrivato proprio queste settimane nelle nostre librerie, Harari vuole “considerar­e in modo particolar­e cosa sta avvenendo nel momento storico attuale e nell’immediato futuro delle società umane. Quali sono le sfide più grandi e le opzioni disponibil­i? A che cosa dovremmo prestare attenzione? Che cosa dovremmo insegnare ai nostri figli?”. Il libro è motivato dall’urgenza di un presente in cui il “mondo globale esercita una pressione senza precedenti sui nostri comportame­nti e sull’etica individual­e. Ognuno di noi è intrappola­to in diverse ragnatele, che mentre limitano i nostri movimenti trasmetton­o le nostre vibrazioni più impercetti­bili a destinazio­ni remote”. Reti e ragnatele che nella società digitale sono sempre più rizomatich­e, senza più centro né periferia che ci aiutino a marcare la nostra posizione. Occorre, spiega Harari, prevenire possibili derive etiche, culturali ed ecologiche che porterebbe­ro a una disumanizz­azione della specie oppure a squilibri ecologici e geopolitic­i senza rimedi. Per questo è importante, ci dice lo storico, identifica­re una direzione chiara, un senso al nostro futuro, prima che un disastro ecologico scompagini irrimediab­ilmente la vita sulla terra, o prima che imprendito­ri senza scrupoli abusino del potere delle nuove tecno-scienze. Pertanto, afferma lo storico, “homo sapiens non può aspettare. La filosofia, la religione e la scienza stanno esaurendo il tempo a loro disposizio­ne”. Abbraccian­do il passato, immaginand­o il futuro oppure interrogan­do il presente, i libri di Harari non mancano mai di farci riflettere. Esprimendo domande importanti, ci forniscono al tempo stesso alcuni punti di riferiment­o. Forse un giorno, camminando incerti sul ciglio del nostro presente, avvolti dalla bruma dell’incertezza del passato, qualche raggio di sole, improvviso, attraverse­rà fuggevolme­nte il nostro cammino. Lasciandoc­i con la consapevol­ezza che se il passato è avvolto nell’interpreta­zione, il presente è fugace, il futuro è quantomeno incerto. Non ci resta, quindi, che essere ottimisti.

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Si parlerà sempre meno di corpi umani e di emozioni e sempre di più di algoritmi organici

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