Ritorno al futuro
‘Sapiens. Da animali a dèi’ aveva fatto conoscere al grande pubblico lo storico Yuval Noah Harari. Il suo seguito, ‘Homo Deus. Breve storia del futuro’, come il precedente è diventato subito un best seller. Ora lo storico israeliano è tornato nelle librer
A volte, leggendo un libro ci si immerge così tanto in un tema o in una vicenda da coglierne i molti dettagli, ma si finisce per perdere un po’ la visione dall’alto. Altre volte, invece, ci si imbatte in autori che riescono a conciliare un approfondimento tematico o narrativo con una visione d’insieme. È il caso dello storico e saggista Yuval Noah Harari (classe 1976), autore del fortunato ‘Homo Sapiens’ (Bompiani: 2014). Pur essendo uno storico, Harari non disdegna certo di guardare al futuro, come testimonia il titolo di un suo recente libro: ‘Homo Deus. Breve storia del futuro’ (Bompiani: 2017). Nel suo ultimo lavoro, ‘21 lezioni per il XXI secolo’ (Bompiani: 2018) è invece il presente a essere al centro di un’indagine a tutto tondo. Un itinerario intellettuale che, mutatis mutandis, a qualcuno farà tornare in mente ‘Ritorno al futuro’ (1985), film di Robert Zemeckis che ha segnato gli anni Ottanta. Un’analogia che, come vedremo, non è del tutto fuori luogo.
Una questione epocale
Una volta l’antropologo Franz Boas scrisse che “per capire la storia, è necessario non solo conoscere come sono le cose, ma come sono diventate ciò che sono”. Studiare l’umanità, capire come siamo arrivati sani e salvi al presente, è ciò che illustra Harari in ‘Sapiens. Da animali a dèi’, il primo libro di quella che è ormai diventata una trilogia. Con ‘Homo Deus. Breve storia del futuro’, secondo tassello della trilogia, la prospettiva cambia, e l’autore si interroga sul nostro futuro. Verso quali orizzonti sta andando una società sempre più avvolta e sedotta dalle sirene del progresso tecnologico? Quali sono le priorità sul tavolo dell’umanità all’alba del terzo millennio, e verso quali obiettivi si tenderà nel futuro? Qual è la posta in gioco della rivoluzione della comunicazione e dell’informazione e più in generale della società digitale? Stando ad Harari, l’essere umano sta attraver- sando una metamorfosi che potrebbe trasformarlo da homo sapiens a homo deus. A spingerci verso questa trasformazione sono le novità tecnologiche, scientifiche e mediche che fanno pensare che l’umano del futuro potrebbe essere profondamente diverso da quello del presente, come si augurano certe visioni tecnofile della vita e della società riunite, in parte, sotto l’appellativo del postumanesimo. Stiamo parlando di Weltanschauungen secondo le quali l’intelligenza artificiale permetterà di sperimentare delle società in cui il lavoratore non sarà più necessario all’economia. Oppure che prevedono che si entrerà nell’era dell’‘internet of everything’ (sorta di logico upgrade dell’‘internet of things’ descritto da Jeremy Rifkin) in cui tutto sarà connesso con tutto. Stando a questi quadri, anche la concezione e la composizione degli organismi umani verrà ‘aggiornata’, e allora si parlerà sempre meno di corpi umani e di emozioni e sempre di più di algoritmi organici o, al limite, di corpi cyborg o organismi aumentati. Tutto, come avrete capito, può diventare un algoritmo, basta crederci fino in fondo. Questi scenari potranno sembrarvi mera fantascienza e in parte, sicuramente, lo sono: ma di questo sarebbe d’accordissimo Harari stesso che in ‘Homo Deus’ non intende certo venderci delle profezie, come altri autori che si improvvisano profeti dell’ultima ora. La svolta epocale ipotizzata da Harari non è altro che uno sviluppo ulteriore, o un possibile declino, di un umanesimo che conosciamo molto bene. Una visione che mette al centro l’umano e le sue potenzialità formatasi nell’Italia del XIV secolo grazie a letterati quali Petrarca e in parte Bocaccio, che sfocia nel Rinascimento – con filosofi e artisti come Giovanni Pico della Mirandola, Michelangelo e Leonardo –, si prolunga nella rivoluzione scientifica formalizzata da Descartes, poi nel movimento illuminista del XVIII secolo, e infine si condensa nella formula nietzscheana contenuta ne ‘La gaia scienza’ (1882) secondo cui “Dio è morto”. Il resto è sotto i nostri occhi.
Da homo sapiens a homo deus
Ecco che allora la tesi, discussa in ‘Homo Deus’, circa un’eventuale trasformazione dell’homo sapiens in homo deus o, se preferite, l’idea del passaggio dall’umanesimo al ‘datismo’ (termine con cui Harari indica la fede incondizionata nel potere dei dati informatici), diventa il risvolto secolare, oppure il declino, di un movimento di idee e di concezioni che mettono l’essere umano al centro dell’universo. Ma attenzione: la nozione di divinità a cui si rifà Harari non rinvia tanto a metafisiche astratte, ed esula decisamente dall’idea di onnipotenza che contraddistingue il Dio della religione giudeo-cristiana. Ricordiamoci che nei racconti mitologici gli dei sono spesso modellati a immagine dell’uomo, imitandone tanto l’aspetto fisico quanto i pregi e i difetti caratteriali. Ecco che allora pensando agli “dei greci o ai deva indù piuttosto che all’onnipotente Padre nei cieli di biblica memoria”, Harari ipotizza un futuro in cui “i nostri discendenti avranno le stesse fisime, perversioni, e limiti, proprio come Zeus e Indra hanno i loro. Ma essi potranno amare, odiare, creare e distruggere su scala molto più grande della nostra”. Come detto, Harari non intende prevedere il futuro, né tanto meno dettarne il corso: ne dà semplicemente una possibile interpretazione. In primo luogo, individua alcune tendenze, scenari e questioni relative agli sviluppi tecnologici e scientifici contemporanei che, sul piano ideologico, tendono a configurarsi come volontà di incanalare il futuro in una direzione precisa. Termini e ambiti di ricerca come gli algoritmi e il machine learning, l’ingegneria genetica, l’intelligenza artificiale e la realtà aumentata sono delle arene simboliche in cui spesso si coltiva il sogno di modificare l’assetto antropologico dell’essere umano e del suo ambiente, creando un nuovo tipo di società più veloce, più performante, più longeva, più intelligente. In secondo luogo, lo storico ritraccia il percorso che, nel corso dei secoli, ha permesso all’umanità di trasformare il mondo in cui vive, sopravvivendo a carestie ed epidemie controllando sempre di più l’ambiente naturale e culturale in cui si è trovata a vivere. Sperimentando rivoluzioni su vari piani, da quelle cognitive e a quelle industriali, da quelle politiche a quelle più prettamente civili e culturali, passo dopo passo siamo arrivati alla rivoluzione della comunicazione e dell’informazione di cui si parla molto oggigiorno, i cui risvolti più recenti si ritrovano, in parte, nell’ideologia del postumanesimo.
Il ritorno al futuro dell’homo sapiens
Come il precedente ‘Sapiens’, ‘Homo Deus’ è un libro affascinate e coinvolgente. Scherzandoci sopra (ma neanche tanto) si potrebbe considerarlo come una sorta di trasposizione dotta e metodologicamente molto più affinata del tema cinematografico di ‘Ritorno al futuro’, dove appunto il futuro non è rappresentato in quanto tale, ma è un presente a cui si ritorna dopo aver fatto un importante viaggio nel passato. Il futuro messo in campo da Harari, come quello evocato nel film ‘Ritorno al futuro’, è quindi un futuro visto dal passato. Come succede agli eroi di ‘Ritorno al futuro’, viaggiando fra passato e futuro ci si ritrova, inevitabilmente, a dover fare i conti con il presente. Non è un caso quindi se l’avventura intellettuale di Harari, dopo aver perlustrato il passato e immaginato il futuro, prosegue interrogando il presente. Con ‘21 lezioni per il XXI secolo’, arrivato proprio queste settimane nelle nostre librerie, Harari vuole “considerare in modo particolare cosa sta avvenendo nel momento storico attuale e nell’immediato futuro delle società umane. Quali sono le sfide più grandi e le opzioni disponibili? A che cosa dovremmo prestare attenzione? Che cosa dovremmo insegnare ai nostri figli?”. Il libro è motivato dall’urgenza di un presente in cui il “mondo globale esercita una pressione senza precedenti sui nostri comportamenti e sull’etica individuale. Ognuno di noi è intrappolato in diverse ragnatele, che mentre limitano i nostri movimenti trasmettono le nostre vibrazioni più impercettibili a destinazioni remote”. Reti e ragnatele che nella società digitale sono sempre più rizomatiche, senza più centro né periferia che ci aiutino a marcare la nostra posizione. Occorre, spiega Harari, prevenire possibili derive etiche, culturali ed ecologiche che porterebbero a una disumanizzazione della specie oppure a squilibri ecologici e geopolitici senza rimedi. Per questo è importante, ci dice lo storico, identificare una direzione chiara, un senso al nostro futuro, prima che un disastro ecologico scompagini irrimediabilmente la vita sulla terra, o prima che imprenditori senza scrupoli abusino del potere delle nuove tecno-scienze. Pertanto, afferma lo storico, “homo sapiens non può aspettare. La filosofia, la religione e la scienza stanno esaurendo il tempo a loro disposizione”. Abbracciando il passato, immaginando il futuro oppure interrogando il presente, i libri di Harari non mancano mai di farci riflettere. Esprimendo domande importanti, ci forniscono al tempo stesso alcuni punti di riferimento. Forse un giorno, camminando incerti sul ciglio del nostro presente, avvolti dalla bruma dell’incertezza del passato, qualche raggio di sole, improvviso, attraverserà fuggevolmente il nostro cammino. Lasciandoci con la consapevolezza che se il passato è avvolto nell’interpretazione, il presente è fugace, il futuro è quantomeno incerto. Non ci resta, quindi, che essere ottimisti.