Borsa Usa: caduta nell’aria
In realtà, la nuova caduta della borsa americana era nell’aria da qualche settimana e solo l’ostinata esuberanza del mercato ha impedito di avvertirla. Come nello scorso febbraio, l’S&P 500 era reduce da nuovi record, l’indice Vix (che misura la volatilità, dunque il rischio, delle azioni) aveva cominciato a segnalare disagio, febbre e infine pericolo, come è apparso chiaramente giovedì, quando è schizzato a 25 punti. E poi s’erano intensificati i flussi di denaro su azioni e bond a basso rating di nuovo attraverso gli Etf, proprio mentre il rendimento dei Treasury era passato dal 2,89% di fine agosto al 3,25% di mercoledì scorso: il massimo dalla primavera 2011. «Penso che alla Fed siano diventati pazzi», ha tuonato Trump. Le cose vanno così bene, è il suo ragionamento, e Jerome Powell rovina tutto promettendo altri rialzi dei tassi d’interesse. È la stessa logica che ha spinto tanti piccoli investitori a buttarsi sui titoli a rischio attraverso i fondi automatici. In effetti l’economia è a pieni giri: il Pil dovrebbe crescere del 3,5% nel 3° trimestre, dopo il 4,2% del precedente, la disoccupazione è al minimo da 50 anni, l’attività nei servizi è la più forte dal 1997 e quella complessiva misurata da Nfib è al massimo (quanto meno) da 44 anni; infine, gli utili societari cresceranno del 23% quest’anno come raramente s’era visto in un ciclo maturo. Colpa della Fed se i tassi sono arrivati al 2,13%, con un’inflazione già più alta di quel livello, con qualsiasi metro la si voglia misurare? Colpa di Powell se la politica monetaria ha ancora un po’ di strada da compiere prima di arrivare a una quasi normalizzazione dopo 9 anni di misure ultraespansive? È risaputo che un aumento dei rendimenti obbligazionari ha riflessi negativi sulla borsa e le conseguenze sono peggiori tanto più rapidamente si sviluppa il fenomeno. Calcolano Goldman Sachs e Ubs che un repentino rialzo di 40 centesimi (come s’è verificato negli ultimi due mesi e come avvenne a inizio anno) provochi una flessione dell’indice S&P quanto meno dell’1,5%. Considerato che l’indice è invece salito del 5% da inizio agosto, una correzione del 7% sarebbe più che giustificata: tanto più in presenza di una quasi nulla percezione dei rischi come segnalava il Vix a 11 punti il 3 ottobre. La minicrisi di febbraio spinse Wall Street a un ribasso massimo del 10%. Se la cosa si ripetesse (e siamo già a un -7% dal record del 20 settembre), sarebbe una correzione, non la fine del mondo. Anzi una «correzione probabilmente salutare», come s’è affrettata a commentare la Casa Bianca dopo le incaute parole di Trump.
Rettifica di percorso statunitense e possibili nuovi guai in Europa
Ma quella che apparirebbe solo una rettifica di percorso per la borsa americana (che conserva comunque un piccolo rialzo da inizio anno) potrebbe tradursi in nuovi guai per le piazze europee (sotto di quasi l’8%) e un disastro ancor maggiore per l’Italia, con l’indice FtMib in rosso di oltre l’11% e con lo spread dei Btp risalito ben sopra i 300 punti. Adesso gli analisti americani dibattono a quale livello il rendimento del Treasury decennale provocherebbe un’inversione di tendenza a Wall Street. Chi ritiene che quell’asticella sia al 5% (Ubs e Bofa) lascia intendere che saremmo ben lontani
dal punto di svolta: ma l’analisi è senza fondamento poiché, nell’attuale ciclo, è impensabile che il Treasury possa raggiunger quel livello. Più realistica è l’ipotesi del Credit Suisse che pone l’asticella al 3,5% (che, dopo anni di Qe e tassi a zero, equivarrebbe al 5% dei precedenti cicli) e molti economisti sembrano concordare. Saremmo dunque prossimi a quel punto, ma non così vicini da far pensare a un drastico cambiamento di rotta. Anche perché la Fed potrà decidere di inasprire la politica monetaria solo in presenza di un’economia che galoppa ai ritmi visti in questi ultimi trimestri. E c’è qualche dubbio che il 2019 sia effervescente come il 2018.