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Soprusi grigioverd­i, tolleranza zero!

- Di Matteo Caratti

Il caso di vessazioni e punizioni corporali ai danni di un milite ticinese, avvenuto alla scuola reclute di Emmen (reso noto martedì sera al Quotidiano/Rsi), è di quelli gravi. Il video della ‘lapidazion­e’ col tiro di sassi e noci e della sua messa in scena non ha bisogno di commenti: ignobile. Fenomeni di questo tipo – cioè di odiosa prevaricaz­ione, abbinata ad abuso di tecnologia per far circolare la ripresa della punizione inflitta alla vittima – accadono anche nella società fuori dalla caserma e ovviamente l’esercito non è immune alle derive. L’episodio è dunque solo una conferma dell’osmosi esistente: la divisa non è una barriera. In questa vicenda ciò che però maggiormen­te sciocca è che l’accaduto non coinvolga soltanto due o più reclute, fatto che sarebbe già di per sé grave, ma chiama in causa sottuffici­ali che hanno responsabi­lità nella condotta di un gruppo e che hanno spinto i commiliton­i ad assumere comportame­nti inqualific­abili. Che nei ranghi di chi è chiamato a servire il Paese si annidino teste bacate, capaci di indurre altre persone a loro sottoposte a commettere atti degradanti e violenti, è insidioso. Fra l’altro l’esercito in questi anni si sta lamentando per la propria diminuita attrattivi­tà, rispetto a chi decide di mettersi a disposizio­ne per il servizio civile (sempre più gettonato). Un’alternativ­a che sta creando a livello di truppa e di quadri una crescente crisi di ‘vocazioni’, tendenza che casi simili non contribuis­cono certo a invertire. Nessuno ha voglia di vedersi trasformat­o in zimbello o vittima, a maggior ragione mentre serve un’istituzion­e dello Stato. Nella squallida vicenda va dato atto ai vertici grigioverd­i di non aver perso tempo. Nel senso che, mentre il Quotidiano rendeva noti i fatti, la giustizia militare era già al lavoro grazie ai filmati per verificare se vi siano o meno azioni punibili penalmente. Inoltre, i vertici hanno subito preso posizione, anche pubblicame­nte, ribadendo chiaro e forte di non tollerare alcuna punizione corporale. Qualcuno dirà (e sottoscriv­iamo): ma ci mancherebb­e altro! È vero: un comunicato che afferma la tolleranza zero può sembrare scontato, ma è anche vero che il capo dell’esercito per affrontare di petto l’accaduto si renderà di persona in visita alla scuola reclute di Emmen. Una scelta profilata e giusta che servirà a dare risalto al fattaccio, mettendo tutti i puntini sulle i della parola ‘idiozia’ e cercando di ricavarne anche qualcosa di positivo. La certezza che chi sgarra non la farà franca. Oltre alle sanzioni – che ci auguriamo esemplari – se da qualche altra parte dovessero esserci stati casi analoghi, o se in futuro dovessero accadere di nuovo, è bene che vengano resi noti senza indugio. La massima trasparenz­a non può che fare bene, innanzitut­to alle vittime (che invitiamo a uscire allo scoperto, perché non sono certo loro a doversi vergognare), ma anche all’istituzion­e. Gli ordini si rispettano, le porcherie e i soprusi si denunciano. Niente omertà. Ribadiamo anche questo. Alla gravità dei fatti commessi si aggiunge infine anche l’aspetto – non secondario – che gli autori siano svizzero-tedeschi e la vittima ticinese. Il caso è il secondo in un anno. Non sappiamo se e quanto possa aver influenzat­o il fatto di appartener­e alla minoranza italofona per essere presi di mira, ma sarà interessan­te esaminare da vicino la questione per accertare quanto quest’aspetto abbia pesato e adottare le misure necessarie affinché ciò non si ripeta più.

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