‘Rompete l’omertà’
Parla il padre della recluta colpita con sassi alla schiena dai commilitoni
Il Sisa: ‘Questo non è un caso isolato’. Gobbi: ‘Danneggiata l’immagine dell’esercito e la sua funzione d’integrazione’
I colpi sordi delle noci e dei sassi lanciati sulla schiena di una recluta ticinese dai propri commilitoni a Emmen (Lu) hanno portato prime, parziali, risposte e reazioni. Innanzitutto la giustizia militare ha avviato un’istruttoria preliminare per verificare quanto successo, e ascolterà tutte le persone coinvolte. E se il Dipartimento federale della difesa ha fatto sapere, tramite Twitter, che ‘‘l’esercito non tollera alcuna punizione corporale’’ e che il capo dell’esercito si recherà alla scuola reclute interessata, a tutte è stato inviato un formulario con l’obiettivo di verificare la situazione e sensibilizzare sulla questione. «È un peccato che la vittima di questo abuso non fosse a conoscenza del nostro sportello ‘Sos Reclute’ – rileva interpellato da ‘laRegione’ Zeno Casella, del Sindacato indipendente studenti e apprendisti (Sisa) –. Forse avremmo potuto contribuire a evitare questo crudo e grave episodio». Servizio attivo da più di dieci anni, ‘Sos Reclute’ «si occupa di raccogliere le segnalazioni che riceviamo e poi di offrire alle persone consulenza». Una consulenza che parte col «dare consigli sui passi da intraprendere per passare dal servizio militare al servizio civile quando si è di fronte al disagio provato nello stare in una caserma», ma che arriva al farsi «parte attiva» di fronte a casi di abusi. Come quello, con vittima una recluta svizzero italiana, che si è verificato a Coira a gennaio. La panoramica dei casi «è molto ampia – riprende Casella – e in quelli più gravi consigliamo alla recluta in questione di rivolgersi a uno psicologo del militare e di farsi dare una mano all’interno delle strutture dell’esercito». E se non basta? «Se non basta procediamo a nostra volta a una segnalazione al comando di compagnia, rispettivamente alla giustizia militare. Se si è verificato un abuso particolarmente grave a cui non viene data risposta, interveniamo per sollecitarla». Ad ogni modo, quanto accaduto «non ci ha stupiti troppo. Sappiamo che da anni e anni nell’esercito gli abusi sono diffusi e, sembra, tollerati dalle gerarchie del-
l’esercito». Gerarchie che si «muovono solamente quando questi casi emergono dai media, per salvarsi un po’ la faccia». Va da sé che per il Sisa «non si può più continuare a far finta di niente. Pretendiamo dalle autorità una risposta molto più incisiva riguardo alla prevenzione e alla repressione di questi abusi all’interno dell’esercito, e chiediamo sia un’istanza indipendente e non la giustizia militare a occuparsi di questi fatti». Infine, «tolleranza zero. È ora di finirla di considerarli casi isolati di goliardia».
Gobbi: ‘Danneggiata l’immagine dell’esercito. Atto da condannare’
Nel pomeriggio di ieri il papà della recluta ha incontrato il direttore delle Istituzioni Norman Gobbi che, da noi raggiunto,
spiega di «aver espresso gratitudine al padre che ha detto, pur deplorando il fatto, di aver fiducia nell’esercito e questo credo sia l’aspetto più importante». Proprio perché, continua Gobbi, casi simili «danneggiano l’immagine dell’esercito, il quale non ha alcun interesse che queste situazioni si producano». Purtroppo, «essendo l’esercito composto da esseri umani, capita che qualcuno agisca senza ragionare ed ecco che si creano situazioni sì marginali, ma che non devono essere in alcun modo minimizzate». Visto che «danneggiano pesantemente un’istituzione che è elemento integratore della nostra comunità con più lingue e culture. Queste non sono immagini che rappresentano i valori del nostro Paese, e questi atti devono essere condannati» conclude Gobbi.