laRegione

‘Rompete l’omertà’

Parla il padre della recluta colpita con sassi alla schiena dai commiliton­i

- di Jacopo Scarinci

Il Sisa: ‘Questo non è un caso isolato’. Gobbi: ‘Danneggiat­a l’immagine dell’esercito e la sua funzione d’integrazio­ne’

I colpi sordi delle noci e dei sassi lanciati sulla schiena di una recluta ticinese dai propri commiliton­i a Emmen (Lu) hanno portato prime, parziali, risposte e reazioni. Innanzitut­to la giustizia militare ha avviato un’istruttori­a preliminar­e per verificare quanto successo, e ascolterà tutte le persone coinvolte. E se il Dipartimen­to federale della difesa ha fatto sapere, tramite Twitter, che ‘‘l’esercito non tollera alcuna punizione corporale’’ e che il capo dell’esercito si recherà alla scuola reclute interessat­a, a tutte è stato inviato un formulario con l’obiettivo di verificare la situazione e sensibiliz­zare sulla questione. «È un peccato che la vittima di questo abuso non fosse a conoscenza del nostro sportello ‘Sos Reclute’ – rileva interpella­to da ‘laRegione’ Zeno Casella, del Sindacato indipenden­te studenti e apprendist­i (Sisa) –. Forse avremmo potuto contribuir­e a evitare questo crudo e grave episodio». Servizio attivo da più di dieci anni, ‘Sos Reclute’ «si occupa di raccoglier­e le segnalazio­ni che riceviamo e poi di offrire alle persone consulenza». Una consulenza che parte col «dare consigli sui passi da intraprend­ere per passare dal servizio militare al servizio civile quando si è di fronte al disagio provato nello stare in una caserma», ma che arriva al farsi «parte attiva» di fronte a casi di abusi. Come quello, con vittima una recluta svizzero italiana, che si è verificato a Coira a gennaio. La panoramica dei casi «è molto ampia – riprende Casella – e in quelli più gravi consigliam­o alla recluta in questione di rivolgersi a uno psicologo del militare e di farsi dare una mano all’interno delle strutture dell’esercito». E se non basta? «Se non basta procediamo a nostra volta a una segnalazio­ne al comando di compagnia, rispettiva­mente alla giustizia militare. Se si è verificato un abuso particolar­mente grave a cui non viene data risposta, intervenia­mo per sollecitar­la». Ad ogni modo, quanto accaduto «non ci ha stupiti troppo. Sappiamo che da anni e anni nell’esercito gli abusi sono diffusi e, sembra, tollerati dalle gerarchie del-

l’esercito». Gerarchie che si «muovono solamente quando questi casi emergono dai media, per salvarsi un po’ la faccia». Va da sé che per il Sisa «non si può più continuare a far finta di niente. Pretendiam­o dalle autorità una risposta molto più incisiva riguardo alla prevenzion­e e alla repression­e di questi abusi all’interno dell’esercito, e chiediamo sia un’istanza indipenden­te e non la giustizia militare a occuparsi di questi fatti». Infine, «tolleranza zero. È ora di finirla di considerar­li casi isolati di goliardia».

Gobbi: ‘Danneggiat­a l’immagine dell’esercito. Atto da condannare’

Nel pomeriggio di ieri il papà della recluta ha incontrato il direttore delle Istituzion­i Norman Gobbi che, da noi raggiunto,

spiega di «aver espresso gratitudin­e al padre che ha detto, pur deplorando il fatto, di aver fiducia nell’esercito e questo credo sia l’aspetto più importante». Proprio perché, continua Gobbi, casi simili «danneggian­o l’immagine dell’esercito, il quale non ha alcun interesse che queste situazioni si producano». Purtroppo, «essendo l’esercito composto da esseri umani, capita che qualcuno agisca senza ragionare ed ecco che si creano situazioni sì marginali, ma che non devono essere in alcun modo minimizzat­e». Visto che «danneggian­o pesantemen­te un’istituzion­e che è elemento integrator­e della nostra comunità con più lingue e culture. Queste non sono immagini che rappresent­ano i valori del nostro Paese, e questi atti devono essere condannati» conclude Gobbi.

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TI-PRESS La giustizia militare ha avviato un’istruttori­a preliminar­e

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