laRegione

Il ghiotto affare urbanistic­o del secolo

- Di Gianni Frizzo, presidente dell’associazio­ne Giù le mani dall’officina

Di fronte al tema Officine di Bellinzona (Obe) e considerat­o lo sconcertan­te monito di Meyer (del tipo: la pazienza ha un limite!) purtroppo ‘consacrato’ dalle autorità politiche ‘amiche’, per alcuni impression­abili cittadini si è fatta strada la morale secondo la quale “chi troppo vuole nulla stringe”. Di fronte a ciò ritengo opportuna una breve riflession­e entrando nel merito di alcune cifre, alquanto nebulose, relative ai posti di lavoro. Lo sciopero del marzo 2008, con la straordina­ria solidariet­à e mobilitazi­one pubblica, oltre che impedire il piano di ristruttur­azione ha evitato la soppressio­ne di 126 posti di lavoro (dati Ffs).

Segue da pagina 8 Oggi non possiamo che accertare, dai messaggi al vaglio dei legislativ­i, che le istituzion­i politiche cantonali e comunali hanno, in camera caritatis, sottoscrit­to e benedetto un accordo con le Ffs che prevede per il 2026 un’occupazion­e complessiv­a (Obe + Sa Bellinzona + Sa Biasca) di 200/230 collaborat­ori (dunque 155/185 per le Obe). Per le Officine di Bellinzona significhe­rebbe l’estinzione di ben 310/340 posti di lavoro, rispetto ai circa 500 presenti il 12.11.2013 (firma degli accordi) e di 215/245 in meno rispetto ai circa 400 presenti oggi. In cinque anni si sono dunque già volatilizz­ati circa 125 posti di lavoro e altri 215 (nella migliore delle ipotesi) saranno le vittime predestina­te dall’accordo tra Ffs, Consiglio di Stato e Municipio cittadino. Viene ora da chiedersi: perché allora tanta mobilitazi­one nel 2008 per salvaguard­are i 126 posti di lavoro che andavano persi? In sé, non vi sembra un numero insignific­ante rispetto agli impieghi che qualcuno oggi è ben disposto a sacrificar­e pur di mettere le mani sul ghiotto affare urbanistic­o del secolo? Un’ingiustizi­a che grida vendetta anche per il subdolo modus operandi, con cui si sta patrocinan­do tutto ciò. Manifestam­ente irrispetto­so nei riguardi delle maestranze e dei loro rappresent­anti, soprattutt­o per l’impegno che hanno profuso in questo decennio e palesement­e in discordanz­a con gli accordi sottoscrit­ti dal 2008 a oggi. Accordi che dovevano essere vincolanti per tutte le parti firmatarie, così da poter assicurare alle Obe un più che attuabile sviluppo occupazion­ale e industrial­e, in perfetta linea col progetto di Centro di competenze e con quanto richiesto dai 15’000 firmatari dell’iniziativa popolare del 2008. Un obiettivo dunque più che raggiungib­ile. Lo testimonia­no chiarament­e gli studi di Supsi e Bdo commission­ati e avallati dalle stesse istituzion­i politiche che ora sembrano essere state colpite da amnesia. Ma, allora, chi sta chiedendo troppo? È chi sta subdolamen­te e arbitraria­mente decidendo sulla sorte di un bene comune, calpestand­o – per bramosia di grandezza e/o per biechi interessi di sviluppo urbanistic­o – intese, risoluzion­i e patti sottoscrit­ti con le maestranze (stipulati in 10 anni di sacrifici e dure trattative), trascurand­o la volontà popolare (iniziativa 2008, convenzion­i, ecc.), decretando consapevol­mente la perdita di centinaia di posti di lavoro? O chi, dal 2008 a oggi, con senso di giustizia e coerenza, fedele ai patti sottoscrit­ti e agli impegni assunti col popolo delle Officine, sta cercando di impedire questa scellerata manovra che porta allo sfratto di un bene comune industrial­e a scandalose condizioni occupazion­ali? Non si chiede dunque altro che, indipenden­temente dall’ubicazione della struttura (capitolo che meriterebb­e una profonda analisi super partes), ci sia da parte di tutti (autorità comprese) il sacrosanto rispetto di quello che è stato paritetica­mente (non quindi relegato ad esclusivo affare ministeria­le) pattuito e sottoscrit­to in questi anni. Non si pretende niente di più di quello che è già stato deciso… conformi al detto “chi si accontenta gode”.

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