Il nemico alle porte
Il decreto con cui Petro Poroshenko ha definitivamente sepolto il ‘Trattato d’amicizia’ tra Ucraina e Russia conferma che l’ostilità tra i due Paesi rischia ormai di trasformarsi in conflitto aperto. L’avvicinamento di Kiev alla Nato e l’aggravarsi della guerra ‘a bassa intensità’ nelle aree separatiste filorusse potrebbero dare luogo a uno scontro dall’esito incerto, ma disastroso.
Kiev – Prime prove per i prossimi fuochi d’artificio tra Occidente e Russia. “L’Ucraina va verso l’Unione europea e l’Alleanza atlantica. Vogliamo rompere con il passato imperiale russo e con quello sovietico”. Questo in sintesi il messaggio del presidente Petro Poroshenko nel corso della Festa nazionale per il 27º anniversario dell’indipendenza dal Cremlino. Per fugare ogni dubbia sul significato delle sue parole, il 17 settembre, lo stesso Poroshenko ha firmato il decreto che mette fine al ‘Trattato d’amicizia’ firmato con Mosca nel 1997. Così “Kiev distrugge tutto”, è stata la replica, altrettanto inequivocabile, della Russia. Dopo mesi ai margini delle più importanti notizie internazionali l’Ucraina torna prepotentemente a destare interesse. Già al recente summit informale tedesco-russo la cancelliera Merkel aveva posto la questione della repubblica ex sovietica al primo punto dei colloqui con il presidente Putin, che, invece, ha svicolato. Gli accordi di pace di Minsk per l’Est, negoziati con l’ausilio di francesi e tedeschi, restano inapplicati e Berlino si trova adesso ad un bivio: dare o non dare il suo assenso definitivo alla costruzione del raddoppio del gasdotto Nord Stream 2 sotto al Baltico tra Germania e Russia, opera che può ridurre la valenza strategica di Kiev, sul cui territorio transitano indispensabili forniture energetiche all’Unione europea? L’Amministrazione Trump potrebbe elevare sanzioni contro Berlino, aprendo uno scontro dagli esiti imprevedibili per l’intero Occidente. La Casa Bianca ha inviato a Kiev il consigliere presidenziale John Bolton che ha certificato i progressi della repubblica ex sovietica nel suo percorso di adesione alla Nato, ma “c’è ancora molto da fare”. Sull’“annessione” della Crimea da parte dei russi nel marzo 2014 non vi sarà alcun riconoscimento Usa. A causa della guerra “abbiamo perso il 25% del nostro potenziale industriale, il 15% del Pil e siamo costretti ad usare ogni anno ben il 5% del Pil per le spese militari” ricorda a ‘laRegione’ l’ex ministro delle Finanze, Oleksandr Danyliuk. Il conflitto all’Est con le cosiddette “repubbliche popolari” filo-russe di Donetsk e Lugansk rimane “congelato” anche se le scaramucce non sono mai terminate. Lo testimonia anche la diffusione da parte russa di nuove ‘prove’ della responsabilità ucraina nell’abbattimento del volo Mh17, nel giugno 2014 nei cieli del Donbass. Gravi sono le perdite quotidiane che si vanno ad aggiungere al pesantissimo bilancio di oltre 10mila morti e due-tre milioni di sfollati. L’omicidio a Donetsk del leader della locale repubblica, Aleksandr Zakharchenko, il 31 agosto scorso, stende poi inquietanti ombre sul futuro.
Verso le elezioni
L’Ucraina è già in campagna elettorale in attesa delle presidenziali del 31 marzo prossimo. Tutti i potenziali candidati hanno rating di popolarità assai bassi, ma la sensazione è che l’Occidente alla fine appoggerà Poroshenko. Che non è così sicuro di farcela, se il suo governo intende spendere denaro pubblico per meglio presentarsi agli elettori. Queste misure non si adattano alle asfittiche casse dello Stato, bisognose degli aiuti finanziari internazionali, sospesi per la lenta o mancata approvazione da parte della Rada delle più diverse riforme, soprattutto quelle in materia di corruzione. Sul web e sui social media la battaglia a colpi di falsi account e attacchi informatici non si è mai fermata dall’annessione russa della Crimea e dallo scoppio della guerra all’Est nella primavera 2014. I blogger più famosi hanno avvertito i loro lettori dell’esistenza di troll che usano le loro identità. La Russia per ora resta a guardare e tenterà di trovare un suo alfiere per le presidenziali in maniera da cancellare l’esito della rivoluzione pro-occidentale “EuroMaidan” dell’autunno 2013 – primavera 2014 e riportare Kiev all’interno della sua orbita geopolitica. Il Cremlino continua a non rendersi conto che con la sua azione ha provocato la vera nascita della nazione ucraina. Se anni addietro per le strade di Kiev non si sentiva parlare ucraino, ma solo russo (la lingua comune di comunicazione), oggi non è più così. Qualsiasi pubblico ufficiale nelle sue funzioni utilizza solo l’ucraino e l’inglese (spesso stentato) con gli stranieri. La gente si sente ucraina. “Mi vergogno di avere origini russe”, dice Anna. Ma sono in milioni ad avere le sue stesse radici. “In Crimea non metto piede da quattro anni – afferma Viaceslav –. Mia mamma, abita a Simferopoli, quando può viene lei a trovarmi”. I legami familiari sono in parte salvi, a patto che non si parli di politica; e, a giudicare dai treni provenienti da Est, milioni di ucraini continuano a sbarcare il lunario andando a lavorare nel Paese vicino. Se in Crimea il turismo sta rifiatando grazie al ponte di Kerch che collega la penisola alla terraferma russa, difficilissima è la situazione nelle repubbliche popolari, dove la povertà ed il controllo poliziesco incidono sulla vita quotidiana. Come già successo a Lugansk con un colpo di Stato, da mesi si parlava di un cambio di leadership a Donetsk. Si vociferava che Zakharchenko non fosse più nelle simpatie di Mosca. Adesso la sterzata, non si sa in quale direzione, sarà decisa.