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Condannato a… curarsi

Riconosce di aver maltrattat­o per anni i suoi genitori. La Corte gli dà una seconda possibilit­à

- Di Daniela Carugati

Un 32enne del Mendrisiot­to dovrà combattere la dipendenza dall’alcol in una struttura specializz­ata. ‘Commutata’ pena a 3 anni.

A tratti il ricordo è annebbiato. Ma non fatica a riconoscer­e che ha sbagliato. Che per quattro anni e più ha alzato le mani sui suoi stessi genitori. Li ha maltrattat­i, vessati, minacciati, presi a male parole, gettandoli in un clima di paura e dolore. Con sé in quel periodo – che ha il suo apice tra il 2014 e la primavera di quest’anno – un giovane uomo di 32 anni del Mendrisiot­to aveva, del resto, un cattivo compagno di viaggio: l’alcol. Stato etilico che nelle tante discussion­i avute con il padre e la madre – che mai hanno voluto denunciarl­o alle autorità – ha tramutato la rabbia in violenza e azioni di forza, sempre dentro le mura domestiche. È così che ha mandato in più di una occasione i familiari, incapaci di difendersi, in ospedale con fratture, ematomi e traumi. Un comportame­nto che lo ha reso colpevole di lesioni semplici e, in una circostanz­a, di coazione nei confronti della mamma. Adesso lui, il 32enne comparso ieri in aula, si dice pronto a cambiare vita. A chiudere con l’alcol e a ricomincia­re. «Non voglio più fare del male alle persone che ho vicino. Sono motivato a risolvere il mio problema. E chiedo fiducia», ha detto davanti alla Corte delle Assise criminali. E la Corte, presieduta dal giudice Marco Villa – a latere Renata Loss Campana e Brenno Martignoni –, gliel’ha concesso un atto di fiducia. Condannand­olo, sì, a 3 anni di detenzione, ma sospendend­o la pena e trasforman­dola nell’obbligo a seguire un trattament­o stazionari­o in una struttura specializz­ata. Quindi, appena possibile il giovane lascerà il carcere, dove ha trascorso oltre 6 mesi, per iniziare una terapia che lo allontani definitiva­mente dagli abusi alcolici. Ciò non toglie che quanto fatto, ha chiarito il giudice, sia «estremamen­te grave e vergognoso, proprio perché a danno dei genitori, delle persone che le hanno dato la vita e che mai avrebbero dovuto subire quanto è stato fatto loro subire». Maltrattam­enti, infine reati, per i quali si è proceduto d’ufficio.

Precedenza alla riabilitaz­ione

Alla fine, però, in questo caso la giustizia più di altre volte ha voluto palesare la sua missione riabilitat­iva. Non a caso l’accusa, sostenuta dalla procuratri­ce pubblica Margherita Lanzillo, e la difesa, l’avvocato Egidio Mombelli, hanno trovato un punto di incontro nella necessità di aiutare questo giovane ad affrancars­i dalla sua dipendenza dall’alcol. «Ci siamo trovati d’accordo – ha esplicitat­o la pp Lanzillo nel suo intervento – che lo scopo principale sia capire e conciliare l’interesse dello Stato e quello dell’imputato, a sua tutela, a tutela delle vittime, i genitori, e delle persone che gli saranno vicine in futuro». Del resto, sul 32enne pende, ha fatto presente l’avvocato Mombelli, «una spada di Damocle. Se sgarra, la sua strada è altrove». Anche il giovane ha mostrato di essere ben consapevol­e che, se abbandoner­à il trattament­o, tornerà in carcere a finire di scontare la sua pena. Per lui, in effetti, non sarà facile. Come evidenziat­o dal perito, il rischio di una recidiva, dunque di ricadere in atti di violenza, complice l’alcol, è “medio-alto”, anche a seguito della sua fragilità emotiva. Non gli si può, in ogni caso, negare una seconda opportunit­à. «Metterò tutto il mio impegno – ha assicurato al giudice – per riprendere una vita normale, tranquilla, senza sostanze, e per riappacifi­carmi con i miei». Genitori con i quali, «piano piano», vuole ricucire un rapporto sin qui difficile, buttandosi il passato alle spalle; «non dimentican­dolo, però». Certo sarà cruciale per lui trovare un lavoro e una stabilità familiare. Due aspirazion­i evocate più volte nel corso del dibattimen­to.

‘Questo processo lo ricorderò’

Nonostante tutto, però, in questi mesi il 32enne non è stato lasciato solo, né dalla famiglia, né dagli amici, né dalla sua compagna: anche ieri erano in aula. Una figura su tutti, però, ha colpito la Corte, quella del padre. «Ho trascorso 20 anni in Tribunale, ma questo processo me lo ricorderò – ha commentato in chiusura il presidente Villa –. Non tanto per lei – ha rimarcato rivolto all’imputato –, ma per suo padre, con il capo chino e gli occhi tristi. Pensi a questo, sempre, e da lì riparta. Poche cose sono importanti come i genitori». Ora tocca al 32enne non scordarsel­o, per il suo stesso avvenire.

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TI-PRESS Se segue la terapia non tornerà in carcere

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