Condannato a… curarsi
Riconosce di aver maltrattato per anni i suoi genitori. La Corte gli dà una seconda possibilità
Un 32enne del Mendrisiotto dovrà combattere la dipendenza dall’alcol in una struttura specializzata. ‘Commutata’ pena a 3 anni.
A tratti il ricordo è annebbiato. Ma non fatica a riconoscere che ha sbagliato. Che per quattro anni e più ha alzato le mani sui suoi stessi genitori. Li ha maltrattati, vessati, minacciati, presi a male parole, gettandoli in un clima di paura e dolore. Con sé in quel periodo – che ha il suo apice tra il 2014 e la primavera di quest’anno – un giovane uomo di 32 anni del Mendrisiotto aveva, del resto, un cattivo compagno di viaggio: l’alcol. Stato etilico che nelle tante discussioni avute con il padre e la madre – che mai hanno voluto denunciarlo alle autorità – ha tramutato la rabbia in violenza e azioni di forza, sempre dentro le mura domestiche. È così che ha mandato in più di una occasione i familiari, incapaci di difendersi, in ospedale con fratture, ematomi e traumi. Un comportamento che lo ha reso colpevole di lesioni semplici e, in una circostanza, di coazione nei confronti della mamma. Adesso lui, il 32enne comparso ieri in aula, si dice pronto a cambiare vita. A chiudere con l’alcol e a ricominciare. «Non voglio più fare del male alle persone che ho vicino. Sono motivato a risolvere il mio problema. E chiedo fiducia», ha detto davanti alla Corte delle Assise criminali. E la Corte, presieduta dal giudice Marco Villa – a latere Renata Loss Campana e Brenno Martignoni –, gliel’ha concesso un atto di fiducia. Condannandolo, sì, a 3 anni di detenzione, ma sospendendo la pena e trasformandola nell’obbligo a seguire un trattamento stazionario in una struttura specializzata. Quindi, appena possibile il giovane lascerà il carcere, dove ha trascorso oltre 6 mesi, per iniziare una terapia che lo allontani definitivamente dagli abusi alcolici. Ciò non toglie che quanto fatto, ha chiarito il giudice, sia «estremamente grave e vergognoso, proprio perché a danno dei genitori, delle persone che le hanno dato la vita e che mai avrebbero dovuto subire quanto è stato fatto loro subire». Maltrattamenti, infine reati, per i quali si è proceduto d’ufficio.
Precedenza alla riabilitazione
Alla fine, però, in questo caso la giustizia più di altre volte ha voluto palesare la sua missione riabilitativa. Non a caso l’accusa, sostenuta dalla procuratrice pubblica Margherita Lanzillo, e la difesa, l’avvocato Egidio Mombelli, hanno trovato un punto di incontro nella necessità di aiutare questo giovane ad affrancarsi dalla sua dipendenza dall’alcol. «Ci siamo trovati d’accordo – ha esplicitato la pp Lanzillo nel suo intervento – che lo scopo principale sia capire e conciliare l’interesse dello Stato e quello dell’imputato, a sua tutela, a tutela delle vittime, i genitori, e delle persone che gli saranno vicine in futuro». Del resto, sul 32enne pende, ha fatto presente l’avvocato Mombelli, «una spada di Damocle. Se sgarra, la sua strada è altrove». Anche il giovane ha mostrato di essere ben consapevole che, se abbandonerà il trattamento, tornerà in carcere a finire di scontare la sua pena. Per lui, in effetti, non sarà facile. Come evidenziato dal perito, il rischio di una recidiva, dunque di ricadere in atti di violenza, complice l’alcol, è “medio-alto”, anche a seguito della sua fragilità emotiva. Non gli si può, in ogni caso, negare una seconda opportunità. «Metterò tutto il mio impegno – ha assicurato al giudice – per riprendere una vita normale, tranquilla, senza sostanze, e per riappacificarmi con i miei». Genitori con i quali, «piano piano», vuole ricucire un rapporto sin qui difficile, buttandosi il passato alle spalle; «non dimenticandolo, però». Certo sarà cruciale per lui trovare un lavoro e una stabilità familiare. Due aspirazioni evocate più volte nel corso del dibattimento.
‘Questo processo lo ricorderò’
Nonostante tutto, però, in questi mesi il 32enne non è stato lasciato solo, né dalla famiglia, né dagli amici, né dalla sua compagna: anche ieri erano in aula. Una figura su tutti, però, ha colpito la Corte, quella del padre. «Ho trascorso 20 anni in Tribunale, ma questo processo me lo ricorderò – ha commentato in chiusura il presidente Villa –. Non tanto per lei – ha rimarcato rivolto all’imputato –, ma per suo padre, con il capo chino e gli occhi tristi. Pensi a questo, sempre, e da lì riparta. Poche cose sono importanti come i genitori». Ora tocca al 32enne non scordarselo, per il suo stesso avvenire.