Un colpevole per Khashoggi
I sauditi sarebbero pronti a ‘sacrificare’ il capo dei propri servizi per chiudere la vicenda La Turchia sostiene di avere le ‘prove’ risolutive del caso della scomparsa del giornalista. Washington vuole salvare Riad.
Istanbul/Washington – La Turchia “ha le prove”, gli Stati Uniti hanno un colpevole. Dopo il riconoscimento da parte di Donald Trump della “probabile morte” di Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul, la ricerca di una via d’uscita dal caso, che simuli rigore investigativo, salvi la faccia alla casa regnante di Riad e gli affari di Washington con quest’ultima, sembra alla conclusione. “Abbiamo alcune informazioni e prove” sul caso del giornalista scomparso il 2 ottobre scorso dopo l’ingresso nel consolato saudita, ha detto ieri il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, “e condivideremo i risultati dell’inchiesta con tutto il mondo”. Nientemeno. Ankara si tiene però strette le presunte prove. Né il segretario di Stato Mike Pompeo, né nessun altro funzionario americano hanno ricevuto registrazioni audio del sospetto omicidio, ha assicurato ancora Cavusoglu, confermando così la versione dell’amministrazione Usa. Ieri, la Procura di Istanbul ha interrogato come testimoni 15 dipendenti turchi della sede diplomatica. Tra loro anche l’autista del console. Non c’era lui però alla guida del minivan nero con targa diplomatica – all’interno del quale i tecnici della Scientifica turca hanno cercato tracce ematiche – che sarebbe stato utilizzato per far sparire il cadavere di Khashoggi, intero o fatto a pezzi. Difficile, in ogni caso, far combaciare i “progressi” dell’inchiesta con gli equilibrismi politico-diplomatici richiesti a non pochi attori coinvolti nella vicenda. A poche settimane dalle elezioni di midterm, negli Stati Uniti cresce la pressione su Trump perché esiga chiarezza da Riad. E secondo alcuni media sarebbe proprio giunto a Riad dagli Usa il “suggerimento” di “sacrificare” un alto ufficiale dell’intelligence saudita, il generale Ahmed al-Assiri, uomo di punta dei servizi e consigliere della Corona. Non è detto che ciò basti a tenere fuori dalla questione il principe ereditario Mohammed bin Salman (Mbs), sul cui ruolo di mandante sembra esservi l’unanimità. Sul caso alzano la voce anche gli avversari dell’Arabia Saudita in Medio Oriente. Il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah l’ha invitata a prendere una decisione “coraggiosa” e porre fine alla guerra in Yemen, per uscire dall’isolamento. Non solo. Boicottata dai ministri economici di Europa e Stati Uniti e dal Fondo monetario internazionale, la “Davos del deserto” organizzata proprio da Mbs inizierà martedì decimata dalle defezioni. Il segretario al Tesoro americano, Steve Mnuchin, anche lui assente, sarà però a fine mese a Riad per un incontro sulla “lotta al terrorismo”. Che, vista la sede e gli ospiti, sarà un bello spettacolo.